[Redditolavoro] Tornare al "Welfare"?

clochard spartacok at alice.it
Mon Apr 7 00:19:25 CEST 2008


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Sent: Friday, April 04, 2008 8:08 AM
Subject: [RK] Tornare al "Welfare"?


Affido alla vostra meditazione un testo di Enzo Modugno, recentemente
pubblicato da "il Manifesto"e a mio giudizio notevolmente pertinente
con alcuni spunti di dibatti ti questa lista.


Tornare al welfare, ma non siamo negli anni '50
Enzo Modugno


C'è una questione teorica dietro l'esperienza della sinistra al
governo che riguarda il passaggio dal welfare al neoliberismo. Il
'68-'77 aveva capito che il declino della fabbrica fordista aveva
ampliato il numero dei lavoratori non-garantiti rendendo il welfare
un'istituzione impraticabile, e che perciò il valore della
forza-lavoro si doveva difendere con lo scontro sociale.
La sinistra invece - quella di allora pensò solo alla difesa
istituzionale dei garantiti superstiti scaricando gli altri - è andata
ora al governo pensando non solo che si potesse tornare al welfare
come se ci fosse ancora la fabbrica fordista, ma che lo si potesse
fare ancora per via istituzionale, interpretando il neoliberismo come
un attacco politico che poteva essere battuto sul suo stesso terreno,
politicamente.
Secondo Bertinotti - si riveda ora la sua prefazione al libro di Serge
Halimi, Il grande balzo all'indietro, pubblicata agli inizi
dell'esperienza governativa - il neoliberismo è stato un'operazione
eminentemente politica, dovuta al «potente apparato ideologico» dei
pensatori neoliberisti sostenuto da un «poderoso sistema di controllo
politico». E pertanto, così come era stato costruito, il neoliberismo
poteva essere demolito con un'azione politica uguale e contraria che
coinvolgesse i governi di sinistra per riportare al welfare il
capitalismo.
Era questa la strategia della sinistra al governo. Ma non ha avuto
successo e c'è da chiedersi quindi se questa interpretazione del
neoliberismo fosse corretta. Se cioè si possa sostenere che la
trasformazione del capitalismo sia dovuta all'anticipatio mentis di
von Hayek, un professore viennese riscoperto a Chicago. Se si possa
sostenere insomma che il cambiamento della forma della produzione sia
il risultato del cambiamento del metodo di pensiero, come credeva
Bacone.
La tradizione materialista invece ha sempre sostenuto che le idee si
muovono sulle linee tracciate dalle strutture economiche: Galilei
sarebbe stato impensabile senza l'arsenale veneziano, il
cartesianesimo senza i banchieri del capitale mercantile, il kantismo
senza gli uomini universali dell'industrializzazione. E così di
seguito sino al keynesismo, praticato prima che Keynes concedesse
questo nome, per finire col neoliberismo che si afferma quando il
capitale informazionale ha già colonizzato il mondo.
Va detto che anche il keynesismo ebbe una lettura «politica», fu
presentato cioè dalle socialdemocrazie - e da qualche partito
comunista - come una «vittoria» dei lavoratori, e che è proprio questa
interpretazione che poi si rovescia nella lettura del neoliberismo
come «sconfitta» politica.
Le cose invece stavano diversamente, perché erano state le
trasformazioni produttive del fordismo a rendere necessario il
keynesismo. E sono state altre trasformazioni produttive a renderlo
inutile. Cambia non solo la fabbrica ma tutta la società, aveva detto
Gramsci. Le nazionalizzazioni erano necessarie alla fabbrica fordista
per far funzionare settori strategici che non davano profitti: ma sono
diventate inutili quando, con le nuove tecnologie, si fanno profitti
anche con le autostrade. Il welfare era necessario alla fabbrica
fordista per la gestione della domanda globale e per non disperdere
nelle recessioni i team di operai e tecnici difficilmente
sostituibili: ma è diventato inutile quando le nuove macchine hanno
incorporato i saperi di operai e tecnici e i nuovi lavoratori sono
diventati facilmente sostituibili. Era in atto un processo storico di
grandi proporzioni. Il lavoro scientifico e l'applicazione tecnologica
della scienza stavano riducendo il lavoro operaio sia
quantitativamente che qualitativamente ad un momento subalterno. Per
questo il capitale non poteva continuare a porre il tempo di lavoro
operaio come unica misura e fonte della ricchezza: doveva impadronirsi
anche del lavoro tecnico-scientifico. E come la macchina per filare
senza dita aveva incorporato la virtuosità degli artigiani riducendoli
ad operai ed avviando la grande industria, così questa volta è stata
la macchina per pensare senza cervello ad incorporare la virtuosità
dei lavoratori tecnico-scientifici riducendoli a lavoratori mentali
dequalificati. Ormai in ogni ramo d'industria qualunque addetto alle
nuove macchine a mala pena diplomato, sostituibile, delocalizzabile,
senza diritti, opera con un grado di facilità, rapidità e precisione
che nessun sapere accumulato avrebbe potuto dare alla mente dello
scienziato più abile. Come sempre il capitale ha usato le macchine
consapevolmente per ridurre il valore della forza-lavoro e per
spezzare la resistenza dei lavoratori.
La gestione della domanda globale invece, nonostante il ripudio
ufficiale del keynesismo, è rimasta al centro delle politiche
economiche col riemergere della spesa pubblica come spesa militare.
Che lo stesso Reagan ha aumentato come nessun altro in tempo di pace.
Le nuove tecnologie hanno consentito un più accelerato ricambio degli
arsenali militari, e la guerra permanente con le sue colossali
esigenze è diventata lo stimolo permanente di ogni attività in ogni
recesso del sistema economico.Era mai possibile dunque che al governo
di un capitalismo così trasformato ci fosse ancora chi mostrava
insufficiente entusiasmo per i pilastri della ricchezza capitalistica
come l'economia di guerra e la precarietà del lavoro, riproponendo la
spesa pubblica civile? hanno mandato a dire. Finisce così la via
istituzionale al welfare.
Tuttavia, per non far torto a Lenin, forse qualche astensionista
potrebbe ancora ritenere utile un riferimento decente nelle
istituzioni. Ma non si possono chiedere voti con una sindrome da
partner abbandonato: il Pd ormai sta col neoliberismo. E questo
significa che il valore della forza-lavoro, cessata ogni garanzia, è
ora determinato dall'incontro del compratore e del venditore entrambi
consacrati dalla legge dello scambio delle merci. E tra diritti eguali
- scrive Marx - decide la forza. Quindi aveva ragione il '68-'77,
meglio zappare nell'orto pietroso dello scontro sociale.

-- 
"God have mercy, I don't" (Robert Rodriguez and Quentin Tarantino:
"Machete" - Grindhouse)




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