[Redditolavoro] ORE LAVORATE IN ITALIA IN EUROPA E IN USA

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Mon Nov 19 20:46:23 CET 2007






			
			
		

				
			
			

				





	
	
	
	

	

		
		
				
		
		
		QUANTO LAVORANO GLI OPERAI, GLI ALTRI LAVORATORI? E QUANTO LE ALTRE CLASSI E PAESI?

		
			
				da				 falce
			 	@ 2007-11-19 - 19:42:15			 

				Quanto lavorano gli italiani
	La
tesi che gli orari dei dipendenti italiani siano inferiori a quelli dei
loro concorrenti europei non ha sostegno empirico. Il vantaggio
italiano si riduce però sensibilmente se si considera l'impegno
lavorativo sul complesso dalla popolazione in età di lavoro. La causa è
il basso tasso di occupazione, soprattutto femminile Tuttavia, il
valore resta superiore alla media dell'Unione Europea a 15 ed è analogo
a quello dell'Olanda. Per accrescere l'impegno degli italiani nel
mercato dei beni e dei servizi, non serve ridurre le ferie, ma si
devono aumentare i posti di lavoro.
	Negli ultimi anni è stata
più volte avanzata la tesi secondo la quale in Italia si lavora
comparativamente poco. Sarebbe questo uno dei motivi fondamentali per
cui l’economia è poco competitiva, e il prodotto e la produttività
(nonché i salari) ristagnano. Ma è vero che in Italia si lavora poco?
	Gli orari degli italiani
	I
dati della rilevazione europea quadriennale sulla struttura del costo
del lavoro riferiti all’anno 2000, metodologicamente omogenei e
pienamente comparabili tra i paesi, ci dicono che l’orario di fatto dei
dipendenti del settore privato (ad esclusione dell’agricoltura) è, in
Italia, pari in media a 1.694 ore l’anno: 153 ore più di quello dei
francesi, 225 ore più di quello dei tedeschi, 73 più di quello degli
inglesi, 60 ore più di quello degli spagnoli. Inoltre, l’orario
italiano è maggiore di 143 ore l’anno rispetto alla media dei 15 paesi
di più antica appartenenza all’Unione e, se confrontato con i maggiori
tra i paesi di nuova accessione, risulta significativamente inferiore
soltanto a quello di Polonia e Romania.

La tesi che gli orari dei dipendenti italiani siano inferiori a quelli
dei loro concorrenti europei non ha dunque sostegno empirico. D’altro
canto, se si guarda alle tendenze di lungo periodo dell’orario di fatto
di tutti gli occupati (dipendenti e indipendenti) nei quattro maggiori
paesi dell’Unione Europea, negli Stati Uniti e in Giappone (figura 1)
si nota che negli anni Cinquanta e Sessanta gli orari europei erano
mediamente più lunghi, ma da allora si sono ridotti in misura
sostanziale. Quelli dei giapponesi, invece, hanno avuto una contrazione
significativa soltanto negli anni Novanta, mentre quelli degli
americani, negli stessi anni Novanta hanno registrato un certo aumento.
Di conseguenza, gli orari americani hanno distanziato quelli europei
sin dalla fine degli anni Settanta, e dalla fine degli anni Novanta
anche quelli giapponesi: nel 2004 il vantaggio nei confronti dei primi
è di circa sei settimane di 40 ore l’anno e nei confronti dei secondi
di quasi due settimane l’anno.
	Ma
il distacco degli americani non si applica al caso italiano: gli orari
medi italiani, con 1.810 ore l’anno nel 2003, sono allineati con quelli
americani (1.817 ore) e significativamente superiori a quelli di
Francia, Germania e Regno Unito (in media, 1.498 ore). (1)
	I
dati medi vanno però interpretati con cautela, perché rappresentano
mercati del lavoro caratterizzati da strutture profondamente diverse.
Il principale motivo di divergenza del mercato del lavoro italiano sta
nelle sue modeste dimensioni relative.

Se si guarda alla popolazione in età di lavoro (convenzionalmente
compresa tra i 15 e i 64 anni d’età), in Italia lavorano 5,8 persone su
10: mentre nella media dell’Unione a 25 a lavorare sono 6,3 persone, in
quella dell’Unione a 15 6,5, in Giappone 6,9, negli Stati Uniti 7,1,
nel Regno Unito 7,2, in Danimarca 7,6.

Il divario è spiegato quasi completamente dalle differenze
nell’occupazione delle donne, mentre tra gli uomini le differenze sono
più contenute.
	Il dilemma orari-occupazione
	La
limitata dimensione del mercato del lavoro apporta, quindi, una
sostanziale correzione all’immagine dei "lunghi orari" degli italiani:
se è vero che i lavoratori italiani sono impegnati dal lavoro
retribuito, in media, per una quota maggiore dell’anno, è però
altrettanto vero che a sostenere questo impegno sono relativamente in
pochi, particolarmente tra le donne.
	A prolungare gli orari
c’è poi la circostanza che in Italia l’orario effettivo dei lavoratori
part-time è mediamente più lungo: 20,7 ore la settimana, contro 19,3
nell’Unione a 15, 19,1 in Olanda, 18,6 nel Regno Unito, 17,4 in
Germania. 
	Ora possiamo dunque formulare una risposta più
circostanziata e completa alla domanda iniziale. Gli italiani che
lavorano per una remunerazione lo fanno con orari più lunghi della
media degli europei e più vicini al valore degli Stati Uniti. Il basso
tasso di occupazione soprattutto femminile, però, fa sì che il
vantaggio italiano si riduca sensibilmente una volta che venga valutato
nei termini dell’impegno lavorativo espresso nel suo complesso dalla
popolazione in età di lavoro. Tuttavia, anche in questo caso il valore
italiano resta superiore sia a quello della media dei 15 paesi
dell’Unione Europea, sia a quello dei nostri partner "continentali"
(Belgio, Francia, Germania) e si dimostra analogo a quello della
"miracolosa" Olanda. Infine, il modello occupazionale "mediterraneo",
nella versione offerta oltre che dall’Italia, anche da Spagna e Grecia,
si dimostra in grado di esprimere un livello elevato di impegno nel
lavoro retribuito, nell’insieme superiore a quello della media dei tre
maggiori paesi dell’Unione (Regno Unito, Germania e Francia).

Di conseguenza, seppure appare legittimo, anche se non particolarmente
urgente, che ci si proponga di accrescere l’impegno lavorativo degli
italiani nel mercato dei beni e dei servizi, lo strumento per
raggiungere questo risultato non può essere quello della riduzione dei
giorni di ferie, ma esclusivamente quello dell’aumento dei posti di
lavoro.
	Per saperne di più
	Eurostat,
(2004) Long-term indicators, (2005a) Structural Indicators e (2005b)
Population and Social Conditions, I-2005. Tutti scaricabili dal sito http://epp.eurostat.cec.eu.int/.

Freeman R.B. and Schettkat R., 2002, "Marketization of Production and
the US-Europe Employment Gap", Nber Working Papers, n. 8797, Cambridge
(Mass.), National Bureau of Economic Research.

Ggdc- Groningen Growth and Development Centre and The Conference Board, 2005, Total Economy Database, August 2005, http://www.ggdc.net.

Istat, 2004, "La struttura del costo del lavoro in Italia e nella UE", "Tavole di dati", http://www.istat.it/dati/dataset/20041015_00/ .

Istat, 2005, "Le ore lavorate per la produzione del Pil: una prima stima dal 1993 al 2003", "Statistiche in breve", 22 aprile, http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20050422_01/.

Sabbadini L.L., 2005, "L’uso del tempo in Italia e in Europa: primi risultati del processo di armonizzazione", http://www.istat.it/istat/eventi/tempivitaquotidiana/.
	L.T.*
Dirigente di ricerca dell'Istat. L'articolo e le opinioni in esso
contenute sono presentate dall'autore a titolo personale e non sono
pertanto attribuibili all'ente dove lavora.
	Poiché si
riferisce a tutte le ore di lavoro impiegate nella produzione del Pil,
il dato italiano comprende, oltre a quelle dei lavoratori indipendenti,
le ore lavorate sia nei doppi lavori che nelle altre posizioni
irregolari. Questo dato, comunque, risulta pienamente comparabile con
quello rilevato dalla nuova indagine continua sulle forze di lavoro che
registra, per il 2004, un valore medio di 1.813 ore.
	Tra i
dipendenti, l’orario medio dei part-timers italiani è superiore a
quello di tedeschi e inglesi e della media dell’Unione Europea a 15, ma
inferiore a quello di francesi e spagnoli (Istat, 2004).
	Non
vanno dimenticati, ovviamente, anche gli effetti della composizione
delle imprese per settore e dimensione: industria e costruzioni hanno
orari mediamente più lunghi dei servizi; le piccole imprese orari più
lunghi delle grandi. L’Italia, ancora sottoterziarizzata e
caratterizzata da piccole e piccolissime imprese, ha una struttura
produttiva che favorisce gli orari lunghi.
	L’indagine europea
sull’uso del tempo 2002-2003, ad esempio, mostra che per le donne il
tempo di lavoro totale (lavoro retribuito, studio e lavoro familiare)
varia tra le 7h56’ della Slovenia e le 6h16’ della Germania, con
l’Italia a 7h26’. Ma il peso del lavoro familiare su questo aggregato
varia dal 71,7% dell’Italia (5h20’) al 53,6% della Svezia (3h42’)
(Sabbadini, 2005).
					
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