[Internazionale] Retroscena e implicazioni della messa al bando del più forte partito curdo in Turchia
ass.azad at libero.it
ass.azad at libero.it
Thu Dec 31 03:06:26 CET 2009
SERVIZIO A CURA DELLA ASSOCIAZINE NAZINALE AZAD
ROMA 31 DICEMBRE 2009
REDAZIONE JURI CARLUCCI
--------------------------------------------------------------------------
EUROPA QUOTIDIANO
31 dicembre 2009
Ankara - Le "profondità strategiche" del responsabile della diplomazia e il
rinnovamento della politica internazionale Il paladino degli europeisti turchi,
il ministro degli esteri Davutoglu
Sull’autobus che mi porta dalla centrale piazza Taksim al Corno d’Oro, il
porto naturale che servì la capitale di tre imperi, lo scorgo nelle mani di un
giovane ragazzo. È Stratejik Derinlik (Profondità strategiche) il libro-base
della rinnovata politica internazionale turca. A scriverlo è stato l’attuale
ministro degli esteri della Turchia, Ahmet Davutoglu, quando era direttore del
dipartimento di relazioni internazionali all’università Beykent di Istanbul,
nel 2001. Le ristampe del volume non si contano più, e molte sono anche le
traduzioni, seppure manchi quella inglese.
Ma coloro che lo citano per disegnare l’immagine di una Turchia che sta
voltando le spalle all’Occidente e all’Europa per rivolgersi esclusivamente al
mondo musulmano, descrivono solo una parte della realtà: quella utile a fare i
titoli dei giornali.
La sintesi in tre parole della politica di Davutoglu, a capo del dicastero da
maggio scorso, è «zero problemi con i vicini». E la profondità strategica,
concetto rubato alla dottrina militare, è l’idea che la sicurezza della Turchia
può essere garantita soltanto assicurando l’ordine nell’area geografica d’
appartenenza. Se si tiene conto del ruolo di appendice dell’ovest nel Medio
Oriente, che finora ha giocato Ankara, si comprende il cambiamento radicale.
La Turchia, da stato a una dimensione, si sta elevando al rango di potenza
regionale.
Di questo passaggio è pieno di tracce il passato prossimo.
Primo, il rifiuto di consentire agli Stati Uniti di George W. Bush di
invadere l’Iraq usando il suolo turco. Secondo, l’asprezza della contrarietà di
Erdogan ai bombardamenti di Israele nella striscia di Gaza. Terzo, la
telefonata di congratulazioni di Erdogan per la rielezione di Ahmadinejad alla
guida del governo iraniano.
Così, qualcuno ha preso a chiedersi: “Abbiamo perso la Turchia?” Cronaca a
parte, c’è un disegno. E l’elemento decisivo, piuttosto che nelle dure prese di
posizione, è nella visione possibile di un Medio Oriente pacificato – la
profondità strategica, appunto. Il passo necessario per la sua realizzazione
Ankara l’ha compiuto riavvicinandosi alla Siria – cuore del nazionalismo arabo,
stato fondamentale nelle questioni che riguardano il Libano e la Palestina,
nazione chiave nell’irradiazione del sentimento anti turco, nonché punto di
polarizzazione (per via dell’alleanza con l’Iran) dello scontro tra sunniti e
sciiti nel mondo islamico. Sistemare le relazioni con Damasco significa
guadagnare prestigio e immagine in tutto il mondo arabo.
E Davutoglu è partito esattamente da qui, prima come consigliere per la
politica internazionale di Erdogan, ora come ministro degli esteri.
Messo a punto il tassello siriano il resto è venuto da sé. Poche settimane
fa, volando in Giordania, il presidente Abdullah Gül ha visto quanto
sventolassero numerose le bandiere della sua nazione.
Segno chiaro dell’apprezzamento che la Turchia si è guadagnata nel vicino
oriente (ammesso che non bastassero i giudizi positivi già tributatigli dalla
Lega Araba).
Le mediazioni tra Siria e Arabia Saudita e gli interventi diplomatici nel
conflitto arabo israeliano sono diventati possibili grazie a questo prestigio
riacquisito. Senza contare l’importanza dell’essersi messa alle spalle sia l’
antica rivalità con l’Egitto sia la competizione con l’Iran. Passaggi così
forti da far scrivere a Sefat Laciner, analista dell’International Strategic
Research Organization, che «i turchi hanno dissolto il vecchio ordine
mediorientale, o piuttosto il disordine stabilito all’indomani della prima
guerra mondiale, e un nuovo periodo basato sulla comunicazione, maggiori
interrelazioni e cooperazioni è emerso in quest’area».
A questo punto c’è chi accusa Ankara di aver abbandonato l’Europa e di voler
perseguire una politica ostile all’occidente (Jerusalem Post). Come prova si
adduce la sua bilancia dei pagamenti (2006-8).
Le esportazioni nel Medio e Vicino Oriente sono aumentate di sei punti
percentuali, quelle con i 27 paesi dell’Unione sono diminuite di otto. L’
analisi è tuttavia parziale perché mette tra parentesi innazitutto la crisi
finanziaria (principale responsabile del calo dei traffici con l’Europa, che
comunque rimangono quasi la metà del totale); poi la più volte ribadita volontà
di Erdogan di portare il suo paese nell’Unione (con il valore aggiunto delle
sue relazioni mediorientali).
Infine, cosa ancor più grave, si trascura l’altra faccia della medaglia: cosa
vuol fare l’Europa con la Turchia? E intanto i media turchi, a differenza del
mainstream europeo, non hanno sorvolato, tra le altre cose, sulle parole del
primo presidente dell’Unione, Herman Von Rompuy. «La Turchia non è parte dell’
Europa e mai lo sarà», ha detto a Bruxelles nel dicembre 2004. Dicevamo...
chi vuole abbandonare cosa?
Nicola Mirenzi
------------------------------------
Turchia: rilasciati militari sospettati di complotto
Sono stati rilasciati senza nessuna accusa a loro carico gli otto militari
turchi fermati nei giorni scorsi per un presunto complotto anti-governativo che
prevedeva l'uccisione del vice-premier Bulent Arinc. Lo ha reso noto l'agenzia
ufficiale Anadolu.
Per tre di loro la procura aveva chiesto la carcerazione preventiva, ma il
tribunale chiamato a giudicare il caso ha deciso per la loro liberazione. Gli
altri cinque erano stati scarcerati poco prima su proposta della stessa
procura.
Gli arresti avevano alimentato le voci di crescenti tensioni tra il partito
filo-islamico del premier Tyyp Erdogan e le forze armate, che in Turchia sono
considerate garanti della laicità della costituzione.
ATS
---------------------------------------------------------
UN ARTICOLO DEL 18 DICEMBRE MOLTO INTERESSANTE..........SCRITTO DA UN POETA
KURDO.
Retroscena e implicazioni della messa al bando del più forte partito curdo in
Turchia
18/12/2009
DI Hoshnag Ose
Original Version: خلفيّات حظر الحزب الكردي الأقوى في تركيا وأبعاده
“A chi lascerete le regioni della Turchia sud-orientale? Al partito
separatista?”. Con queste parole Cemil Çiçek, vice primo ministro turco ed
esponente di spicco del partito “Giustizia e Sviluppo” (AKP), si rivolse ai
giudici della Corte Costituzionale nell’ambito delle sue considerazioni sul
caso per la messa al bando dell’AKP in Turchia. Questo caso si chiuse con un
accordo fra il leader del partito, Recep Tayyip Erdogan, e il nuovo capo di
stato maggiore dell’esercito, il generale Ilker Başbuğ, che aveva appena
assunto il suo incarico.
La crisi fra laici e “islamici” che si concluse con la mancata chiusura del
partito “islamico” AKP portò Erdogan a compiere diversi passi indietro. Fra
essi vi fu l’annullamento della legge che eliminava la proibizione di indossare
il velo nelle università. Tuttavia, a partire da quel momento il partito di
governo non ebbe un vero avversario nelle regioni curde, ad eccezione del
Partito della Società Democratica (DTP).
Alle elezioni del luglio 2007, il partito curdo confermò la sua presenza in
qualità di forte ed efficace espressione curda nel panorama politico turco,
ottenendo 21 seggi, cosa che lo mise in grado di formare un gruppo
parlamentare. Il dato interessante di questo gruppo è che comprende 8 donne.
Una di esse era stata detenuta per ragioni politiche (Sebahat Tuncel, deputata
della città di Istanbul). Il partito curdo l’aveva fatta uscire di prigione
portandola in parlamento. Ma non basta, poiché la Tuncel partecipò all’
inaugurazione della prima seduta del parlamento in qualità di parlamentare più
giovane, a fianco del parlamentare più anziano. Ciò suscitò il risentimento dei
turchi, sia laici che islamici. Com’era possibile che una donna curda uscisse
di prigione per entrare in parlamento, ed inaugurasse la prima seduta? Per non
parlare poi del fatto che era una deputata della città di Istanbul, e non delle
regioni curde. Ciò stava a indicare che il partito curdo aveva cominciato a
estendersi anche nelle città turche e ad organizzare i curdi che vi
risiedevano.
Far uscire una giovane donna di prigione per farla entrare in parlamento era
un precedente, non solo nella storia della Turchia, ma forse nella storia
parlamentare di numerosi altri paesi.
Alle elezioni comunali tenutesi in Turchia il 29 marzo 2009, il Partito della
Società Democratica (DTP) – ora messo al bando – vinse a man bassa nei comuni
delle regioni curde. Sebbene il partito di governo (AKP) avesse distribuito
rifornimenti e dispositivi elettrici ai quartieri ed ai villaggi più poveri,
sebbene tutti i partiti turchi laici si fossero alleati con il partito di
Erdogan, e sebbene le forze armate e gli impiegati degli apparati di sicurezza
e dei servizi statali avessero votato per l’AKP, il partito curdo ottenne la
vittoria. Il numero dei comuni da esso controllati salì da 56 a 99. Il DTP
cominciò ad occuparsi degli affari di questi comuni, facendo rivivere l’eredità
e la cultura curda. I deputati del DTP cominciarono a sollevare la questione
curda. La popolarità del partito crebbe progressivamente. Ciò rappresentava una
minaccia per il controllo di Erdogan sulle regioni curde, ed ostacolava il
raggiungimento di una soluzione della questione curda priva di qualsiasi
controllo ed in accordo con gli orientamenti dell’esercito.
Il caso per la messa al bando del DTP è all’esame della Corte Costituzionale
ormai da due anni. Ma la Corte ha emesso la propria sentenza definitiva e
inappellabile nel giro di una settimana! La sera dell’11 dicembre 2009, il
presidente della Corte ha emesso il verdetto di chiusura del partito con l’
accordo unanime degli 11 giudici che la compongono. Il verdetto si basava sugli
articoli 68 e 69 della Costituzione turca e sugli articoli 101 e 103 della
legge sui partiti. Oltre alla chiusura del DTP, è stata decretata l’espulsione
dal parlamento del leader del partito Ahmet Turk e della parlamentare curda
Aysel Tuğluk; ed altri 35 membri del partito sono stati interdetti dall’
attività politica per cinque anni. Per non parlare poi delle sanzioni
pecuniarie che hanno colpito altri membri del partito.
Protestando contro questa decisione, il leader del DTP, Ahmet Turk, ha
dichiarato che questa sentenza è “politica, e non giuridica”, ed ha accusato il
partito di governo di essere dietro questo verdetto. Egli ha annunciato le
dimissioni collettive dei deputati del DTP dal parlamento turco, ribadendo che
essi avrebbero proseguito la lotta in maniera pacifica e democratica, e che “la
Turchia arriverà un giorno alla vera democrazia”. Riferendosi a Deniz Baykal,
leader del partito repubblicano kemalista CHP, Turk si è chiesto: “Perché non
chiudono i partiti che hanno dichiarato di essere gli avvocati difensori della
rete di Ergenekon, e chiudono il nostro partito che chiede giustizia, libertà,
pace e democrazia?”.
Probabilmente, la messa al bando del DTP non è una sorpresa per i curdi
poiché a partire dalle elezioni del 29 marzo scorso erano state arrestate 800
persone, fra dirigenti, quadri e tesserati del partito, con l’accusa ormai
nota, cioè quella di “sostenere il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK)”.
Dunque tutti i segnali locali ed internazionali lasciavano presagire la
chiusura del partito. Anche l’apertura di Ankara ai curdi iracheni aveva come
obiettivo quello di mettere nel sacco i curdi turchi.
Con la chiusura del DTP, il numero di partiti curdi messi al bando in Turchia
dal 1990 fino ad oggi è salito a cinque! E’ da notare che gli editorialisti e i
commentatori della stampa turca hanno apparentemente criticato il verdetto di
chiusura, ma poi hanno attribuito la colpa al partito curdo! Alcuni
corrispondenti della stampa e della televisione araba si sono uniformati a
questo approccio, affrettandosi a discolpare Erdogan per la sentenza della
Corte Costituzionale.
Anche alcuni autori turchi considerati appartenenti agli ambienti liberali e
democratici di sinistra hanno attribuito la responsabilità del verdetto alla
vittima, ovvero al DTP. Alcuni hanno invece addossato la responsabilità al PKK
postulando l’esistenza di un legame fra esso e l’organizzazione turca
Ergenekon!
Se il PKK può essere considerato responsabile del verdetto della Corte a
seguito dell’attacco a un convoglio militare ed all’uccisione di 7 soldati
turchi nella regione di Tokat, bisogna rilevare che dal mese di marzo ad oggi
sono stati uccisi 80 combattenti del PKK, e che vi è chi ritiene che il recente
attacco terroristico contro i militari non sia stato altro che una reazione.
Un altro punto merita di essere sottolineato. Il DTP, considerato vicino al
PKK, intendeva aprire una propria sede a Damasco, una ad Aleppo, ed altre sedi
a Teheran e in altre città curde dell’Iran.
Hoshnag Ose è un poeta e scrittore curdo siriano; scrive di questioni curde e
mediorientali su diversi giornali arabi e curdi; risiede a Beirut
------------------------------------------------------------------------------------------------
More information about the Internazionale
mailing list