<html><head></head><body><div class="ydp41293d25yahoo-style-wrap" style="font-family: Helvetica Neue, Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 13px;"><span><p class="ydp55fefe6MsoNormal" align="center" style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;text-align:center;line-height:normal;mso-outline-level:1"><b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-font-kerning:18.0pt;mso-fareast-language:IT">In Chiapas il
caffè è rivoluzione</span></b></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" align="center" style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;text-align:center;line-height:normal;mso-outline-level:1"><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-font-kerning:18.0pt;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-font-weight:bold">di Luca Martinelli</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" align="center" style="margin-bottom:6.0pt;text-align:center;line-height:normal"><i><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">Dalle comunità
zapatiste all’Italia, i chicchi prodotti dagli indigeni messicani sono il legame
più forte tra l’EZLN e il nostro paese. E ora sono pronti a sbarcare pure i biscotti
rivoluzionari.</span></i></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><i><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT"><a href="https://ilmanifesto.it/in-chiapas-il-caffe-e-rivoluzione/?fbclid=IwAR0r7sUF__5rtZPX4sBy_KsohoNzcICTdY_WELMT4nqlyzUYp03x0gZ7G_E" rel="nofollow" target="_blank">Il
Manifesto, 27 dicembre 2018</a></span></i><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">. È passato un quarto di secolo dal primo gennaio del 1994,
quando nel Sud-est messicano un esercito indigeno attaccò il governo e il neoliberismo:
quel giorno entrava in vigore l’accordo di libero scambio tra Messico, Stati Uniti
e Canada, e dal Chiapas i discendenti dei Maya gridarono il loro «Ya Basta!», scegliendo
l’insurrezione armata per dare visibilità alle loro richieste. Venticinque anni
dopo, mentre l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN) festeggia l’anniversario
con balli, canti e tornei di pallacanestro nei municipi autonomi ribelli, migliaia
di italiani celebreranno quel grido sorseggiando il primo caffè del mattino. Perché
uno dei legami più duraturi tra il Chiapas zapatista e il nostro Paese è quello
segnato dall’aroma del caffè, e segue il viaggio dei «chicchi» verdi, che dopo esser
stati essiccati negli spiazzi davanti alle case in legno delle comunità zapatiste
finiscono in sacchi di juta dentro container con destinazione il porto di Genova.</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">QUEI GRANI</span></b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT"> – frutto di cafetales condotti col metodo
dell’agricoltura biologica – sono raccolti nella regione degli Altos del Chiapas
dai circa 800 contadini associati nella cooperativa Yach’il Xojobal Chu’lchan, che
è oggi il fornitore principale delle tre realtà italiane che importano caffè zapatista:
l’associazione Ya Basta, la torrefazione artigianale Caffè Malatesta e l’associazione
Tatawelo, che opera in collaborazione con la cooperativa Libero Mondo. È stata Tatawelo,
a inizio dicembre, ha lanciare un appello per denunciare le violenze in corso nella
regione degli Altos, dopo il ritorno da una missione di Dulce Chan Cab e Walter
Vassallo, che sono i referenti del progetto in Chiapas dell’associazione. Nella
zona infatti ci sono circa 3 mila profughi e 4 mila indigeni impossibilitati a vivere
nelle loro terre, vittime della violenza causata da un’assegnazione di confine che
non rispetta i limiti storici della regione.</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">GLI ANZIANI DEL VILLAGGIO</span></b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT"> vedono i campi dove coltivavano il mais
e il caffè occupati dai vicini che, armati, si sono impossessati delle terre creando
desplazados (sfollati).I desplazados sono gruppi di popolazione povera, resiliente,
capaci di vivere in comunità organizzandosi con poco, e in cui la terra e il mais
risultano elementi essenziali di sopravvivenza e del caffè fanno fonte di reddito.</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">«Siamo stati in Messico dal primo al
23 novembre, e come sempre abbiamo visitato i nostri referenti, e contadini associati
alla cooperativa – racconta Walter Vassallo all’ExtraTerrestre – A San Cristóbal
de Las Casas ci siamo confrontati con lo staff del centro diritti umani Fray Bartolomé
de Las Casas e con il Desmi (l’associazione che dà supporto in ambito agronomico
alle comunità, ndr), decidendo poi di promuovere quest’appello, che come importatori
abbiamo già inviato». È indirizzato, tra gli altri, al sottosegretario per i diritti
umani del governo messicano (che dal 1° dicembre è guidato da Andrés Manuel Lopez
Obrador, del partito Morena), al governatore dello Stato del Chiapas, ma anche all’ambasciata
italiana e alla responsabile dell’Ufficio Economico-Commerciale del nostro ufficio
diplomatico. «I contadini locali hanno serie difficoltà nel recarsi alle loro coltivazioni
per seminare mais o raccogliere il caffè» aggiunge Vassallo, tanto che «con il Frayba
stiamo pensando a brigate di osservazione internazionale per tutelare almeno la
raccolta del caffè nei municipi coinvolti, dove risiedono anche alcune decine dei
nostri produttori».</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">A GENNAIO,</span></b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT"> quando il caffè sarà maturo, c’è il
rischio che non possa essere raccolto. Per questo, sottolinea l’appello, «la violenza
nelle comunità della regione degli altipiani del Chiapas coinvolge anche noi consumatori
finali del caffè, acquistato e sostenuto economicamente attraverso gli esportatori
del commercio equo, per cui riteniamo a nostra volta di interpellare le autorità
delle diverse agenzie federali e statali affinché sia tutelato il nostro investimento
in Messico, considerando altresì l’importanza di prendersi cura dei settori produttivi
del caffè nello stato del Chiapas per importazioni efficaci. Per molti agricoltori
il caffè è la loro unica fonte di reddito per le loro famiglie e il fatto di non
averlo li costringerebbe a migrare per trovare sostentamento. L’insicurezza dei
produttori di caffè genera un abbandono forzato delle coltivazioni, una bassa qualità
del caffè e una violazione dei contratti internazionali stipulati per non essere
in grado di raccogliere caffè. Questo è un forte danno economico per uno Stato che
occupa il primo posto in Messico nella produzione di caffè, con il 35% della superficie
seminata e il 40% della produzione nazionale. Inoltre, sta emergendo come leader
mondiale nella produzione di caffè biologico secondo i dati del Coffee Institute
of Chiapas (Incafech)». La comunità a cui si è rivolta l’associazione Tatawelo è
quella dei soggetti – in molti casi gruppi d’acquisto solidali – che nel corso degli
anni hanno sostenuto i cafeticoltores del Chiapas partecipando al prefinanziamento
del caffè, cioè acquistando e pagando nell’inverno precedente il caffè che ricevono
dopo l’estate. Un modo per garantire ai soci delle cooperative zapatiste l’indipendenza
economica nelle fasi di lavorazione dei grani. Nel 2018 il prefinanziamento ha raggiunto
i 152mila euro (132mila nel 2017, 112mila nel 2016), coinvolgendo ben 150 soci che
raccolgono organizzano e consegnano il caffè ai gruppi di acquisto.</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">UN PROGETTO IN CONTINUA EVOLUZIONE:</span></b><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT"> a Natale 2018, in collaborazione con
Libero Mondo, che nei suoi laboratori di Roreto di Cherasco (CN) si occupa anche
dell’inserimento nel mondo del lavoro di persone con disabilità o che arrivano da
situazioni di disagio sociale, Tatawelo ha promosso un nuovo progetto a sostegno
della comunità indigene del Chiapas, legato alla trasformazione delle ciliegie del
caffè, la buccia che ricopre i grani. «Tecnicamente si chiama drupa (assume un colore
rosso vivo quando il frutto è maturo, n.d.r.) ed è un elemento di scarto, che resta
a terra: i contadini ne usano un po’ per concimare. Il nostro obiettivo, però, è
arrivare a dar valore al 100 per cento della produzione, per sostenere i produttori
indigeni» racconta Luca Gioelli di Libero Mondo.</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT">Di «ciliegie» se ne ottengono 4 chili
per ogni chilo di caffè: nell’estate del 2018 nel container ce n’era un sacco, che
è stato trasformato in farina e usato per impastare il «bizcocho», un biscotto con
farina di ciliegie di caffè (al 9,5%), che porta il marchio del progetto Tatawelo.
È un esempio di economia circolare e solidale: la produzione sperimentale è di appena
mille e trenta pacchetti, distribuiti tra grazie ai soci tra i Gas italiani. Poi,
spiega Luca Gioelli, «faremo un sondaggio, per capire il gradimento». Violenza permettendo,
nell’estate del 2019 il caffè zapatista sarà accompagnato dalle sue bucce. Pronte
a diventare biscotti rivoluzionari.</span></p>
<p class="ydp55fefe6MsoNormal" style="margin-bottom:6.0pt;line-height:normal"><span style="font-size:12.0pt;font-family:Times New Roman,serif;mso-fareast-font-family:Times New Roman;mso-fareast-language:IT"><a href="https://ilmanifesto.it/in-chiapas-il-caffe-e-rivoluzione/?fbclid=IwAR0r7sUF__5rtZPX4sBy_KsohoNzcICTdY_WELMT4nqlyzUYp03x0gZ7G_E" rel="nofollow" target="_blank">https://ilmanifesto.it/in-chiapas-il-caffe-e-rivoluzione/?fbclid=IwAR0r7sUF__5rtZPX4sBy_KsohoNzcICTdY_WELMT4nqlyzUYp03x0gZ7G_E</a></span></p></span></div></body></html>