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<em><strong>Scambio epistolare su Etica e Politica</strong></em><br>
<h2><a href="http://www.caferebeldefc.org/?p=218" target="_blank"><strong>L'etica ha bisogno di un luogo altro per mettere radici e fiorire</strong></a></h2>
<em><strong>Raúl Zibechi</strong></em><br>
<br>
<em>Febbraio 2011:</em><br>
<em>Don Raúl: Saluti. Abbiamo letto alcuni dei tuoi ultimi scritti e
pensiamo di essere in sintonia. Per questo vogliamo invitarti ad unirti e
a portare il tuo contributo sul tema Etica e Politica. Un abbraccio.
SupMarcos</em><br>
Su invito del SCI MArcos, dall'Uruguay, Raúl Zibechi si unisce con questa lettera allo scambio epistolare su Etica e Politica.<br><br><br>
<strong>Lettera all'EZLN</strong><br><strong><br></strong><br>
Marzo 2011<br>
Per: Subcomandante Insurgente Marcos - Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.<br>
Da: Raúl Zibechi.<br>
Un abbraccio alle compagne e ai compagni zapatisti da questo angolo
del continente sudamericano. E un abbraccio di cuore a quelle bambine e a
quei bambini che subiscono la guerra dell'alto, quella guerra alla cui
direzione vanno alternandosi conservatori e progressisti, destre e
pseudo sinistre che in comune hanno la propria avversione - e timore- a
tutti quelli che stanno in basso. Che solamente vengono considerati come
masse passive nei loro cortei, che adesso chiamano manifestazioni, e
soprattutto nel sacrosanto giorno in cui si accorre alle urne.<br>
Man mano che il mondo, il nostro continente e i nostri differenti modi
di stare in basso sono sempre più colpiti dalle molteplici guerre di
quelli in alto - la guerra della fame a causa della speculazione sugli
alimenti, la guerra del silenzio informativo per cancellarci, la guerra
delle politiche sociali per addomesticarci, e la guerra-guerra di
pallottole e cannoni per eliminare ammazzando - diventa urgente
tracciare "frontiere" tra i più svariati "noi" e "loro", anche a rischio
di trovarci con qualche sorpresa sgradita.<br>
Di fronte ad ogni salto in avanti della rivolta mondiale di quelli in
basso, quando moltitudini armate di pietre si scontrano con elicotteri
d'attacco e cacciabombardieri, arriva il momento di chiedersi: da quale
parte? con chi? Domande a cui si può solo rispondere con il cuore e il
più elementare senso di solidarietà umana, anche se tutti i giorni
vediamo quelli che occupano i piedistalli in alto fare calcoli di
guadagni e perdite, con mediocri motivazioni utili a spiegare qualsiasi
cosa perché alcune parole, come diceva León Felipe della giustizia,
valgono di meno, infinitamente meno della piscia dei cani.<br>
Quando migliaia e i milioni di persone conquistano le strade, come
fecero nel gennaio 1994 in Messico e al Río de la Plata nel dicembre
2001, non bisogna far altro che festeggiare, accompagnare, lasciare le
faccende del momento e uscire con loro condividendo allegria e dolore.
"E dopo?", era la domanda che ci facevano a bruciapelo intelligenti
analisti e dirigenti di sinistra. Dopo, non si può sapere. L'unica cosa
che possiamo dire è: adesso, e basta.<br>
Mentre le acque sono calme, i margini per la speculazione si allargano
fino a diventare oceani di discorsi; parole e ancora parole possono
essere pronunciate una dopo l'altra, una e un'altra volta, perché non
sono legate a fatti, azioni, decisioni, impegni. Sono, diciamo, parole.
Come quelle del politico in alto, che rispondono al capriccio e
all'interesse individuale.<br>
Ma quando le acque si increspano, quando le onde esplodono in
mareggiata, niente resta al proprio posto. I tempi per il calcolo e la
speculazione lasciano il passo a risposte quasi automatiche, ed è lì
dove ciascuno risponde secondo i valori che ha coltivato man mano. Nelle
crisi, come nei naufragi, ci sono solo vie d'uscita collettive, per il
semplice fatto che l'opzione individuale non contiene tutti. Questa è la
prima lezione che stanno rispolverando le ribellioni che scuotono il
mondo.<br><br><br>
<strong>Un sistema in disfacimento</strong><br><strong><br></strong><br>
Possiamo fare tutti gli sforzi intellettuali necessari a comprendere
quello che sta accadendo nel mondo. Raccogliere dati, classificarli,
analizzarli, rapportarli, sottoporli a verifica, e così via fino a
circoscrivere alcune ipotesi su ciò che chiamiamo crisi sistemica, che
assomiglia sempre più a un caos sistemico.<br>
Come capire la crisi del sistema? Dicono che ci sono leggi economiche
che mostrano tendenze e segnali inequivocabili del fatto che stiamo
entrando in un periodo nel quale il capitale incontra limiti per la sua
accumulazione. E ci sono altre teorie che dicono che la caduta del
capitalismo è inevitabile e che il mondo unipolare, cioè il mondo basato
sull'egemonia di un solo paese, gli Stati Uniti, non è più sostenibile.<br>
Secondo alcuni, e possiamo sbagliarci, quella che chiamiamo crisi
sistemica, non è né più né meno che un Ya Basta! collettivo, contundente
e generalizzato di quelli in basso in tutti gli angoli del mondo. Crisi
è: quando donne e giovani, bambini e bambine, contadini e operai,
indigeni e studenti, non non tollerano oltre e le loro battaglie si
fanno così forti che quelli in alto, i padroni del capitale, cominciano a
portare i soldi in posti più sicuri. E quello che provocano è un casino
gigantesco nel quale i capitalisti giocano a togliersi i soldi l'un
l'altro, perché quelli in basso non si lasciano più derubare e sfruttare
tanto facilmente.<br>
Giovanni Arrighi e Beverly Silver, nel loro lavoro che abbraccia cinque secoli di storia del capitalismo, "<em>Caos e governo del mondo</em>",
dicono che questa crisi ha una caratteristica ben diversa da tutte
quelle precedenti. Adesso la lotta di quelli in basso è così potente che
da sola fa entrare in crisi il sistema. Così è successo in tutta
l'America latina dal Caracazo del 1989 fino alla seconda guerra del gas
in Bolivia nel 2005 e alla comune di Oaxaca nel 2006. Non sono state le
"leggi oggettive" a mettere in crisi la forma di dominio, ma le persone
nelle strade che hanno sconvolto il modello neoliberista.<br>
Ciò che chiamiamo crisi sistemica sembra un uragano che ci colpisce
tutti e tutte. Non c'è popolo o gruppo sociale che sia al sicuro, e
molti degli strumenti che hanno saputo costruire nel corso dei secoli di
resistenza sono diventati inutili. Non solo le prime organizzazioni
"storiche" di quelli in basso, ma anche una parte delle più giovani, i
cosiddetti movimenti sociali si sono trasformati poco a poco in
obiettivi essi stessi, in gruppi guidati dalla logica della
sopravvivenza. Per inerzia o per quel che sia, una parte di quanto
inventato per resistere non sta servendo a resistere in questo periodo
in cui tutto si scompone. Perfino il nostro mondo si sta disgregando.
Per questo siamo costretti a reinventare i nostri attrezzi di resistenza
e i nostri mondi.<br>
Che dire delle teorie, le ideologie, le analisi scientifiche. Le
previsioni dei "narratori" sociali e politici assomigliano a quei
bollettini meteorologici dove l'unica cosa cosa che azzeccano è dire a
che ora spuntano il sole e la luna e tutto il resto è incerto. I
"narratori" sociali, come si addice, non si fanno carico dei propri
pronostici. Non mettono il corpo insieme alle analisi.<br>
Cosa fa un marinaio quando le mappe di navigazione si mostrano
sbagliate, quando le bussole e gli orologi e i sestanti non segnano più
con la precisione di un tempo? E cosa fanno i ribelli sociali quando non
ci si può aspettare più niente dallo Stato e dalle istituzioni, dai
partiti e dalle organizzazioni che parlano di cambiamento e rivoluzione
ma in realtà stanno cercando il miglior modo di accomodarsi in questo
mondo?<br>
Possiamo confidare nell'etica come supporto e guida dei nostri
movimenti, delle nostre scelte e come machete per aprire sentieri?<br><br><br>
<strong>È possibile unire etica e politica</strong><br><strong><br></strong><br>
Gli zapatisti propongono di aprire un dibattito su etica e politica.
"È possibile portare l'Etica nella guerra?", ci chiede il Subcomandante
Insurgente Marcos nella sua lettera a Luís Villoro. Possiamo allargare
la domanda alla politica. Etica e politica possono andare assieme? La
risposta non è così evidente.<br>
Come sarebbe? C'è chi pensa di mettere qualche dose di etica in qualcuno
dei partiti che occupano ministeri? E alla Camera dei deputati e dei
senatori? Quanta? Fino a riempire quante pagine di discorsi? Quale
dovrebbe essere la dosi necessaria di etica per rimuovere decenni di
pratiche guidate dal calcolo meschino dei benefici quantificati in
incarichi, viaggi e compensi straordinari? È evidente che là in alto
l'etica è il convitato di pietra o argomento di conversazione. Sono due
dimensioni che vivono in mondi diversi e che non possono dialogare né
capirsi.<br>
Una notte fredda del 1995, il comandante Tacho si rivolse alla folla
nella piazza di San Andrés per spiegare quello che avevano discusso quel
giorno con i rappresentanti del governo durante alcune trattative che
alla fine sfociarono negli Accordi di San Andrés. "Ci hanno chiesto di
spiegare cos'è la dignità", disse, provocando un terremoto di risate.
Con l'etica accade qualcosa di simile. È o non è, ma non può essere
spiegata, anche se ho visto intere biblioteche di libri con la pretesa
di analizzarla.<br>
L'etica ha bisogno di un luogo altro per mettere radici e fiorire. E
quel luogo è in basso e a sinistra, lì dove è nato poco a poco un altro
modo di fare politica, dove la parola è intrecciata alla vita e la vita è
fatta di realtà che fanno male, né grandi né piccoli, le realtà
quotidiane di quelli in basso. Questa politica altra, quella che nasce
nel sottosuolo per restarci, la politica che non cerca scale per
arrivare in alto ma ponti per arrivare ad altri in basso, e con tutti
quelli in basso cerca di costruire un mondo diverso, questa politica è
etica, e solo lei può esserlo.<br>
La barca della politica dell'alto, che è la stessa politica di quelli
che vogliono arrivare in alto, vicino al timone ha un bussola enorme che
punta sempre verso un nord che si chiama pragmatismo o realismo. Che è
l'arte di giocare con gli elementi esistenti, con la "correlazione delle
forze" (il frustino più usato delle sinistre in alto), con la reale
realtà. Il pragmatico e realista misura con maggiore esattezza la
congiuntura, la sventra per levarle tutto il succo possibile, per
giocare con lei il gioco di sistemare le pedine degli scacchi sulla
scacchiera per i propri interessi nel miglior modo possibile. (Si noti
che il politico in alto non fa differenza tra politica ed economia, e
utilizza gli stessi concetti in entrambi gli ambiti).<br>
Il politico pragmatico e realista, quando si sollevano i popoli, quando
contro i proiettili e i cannoni del tiranno ci mettono il corpo, non si
turba per il sangue sparso. Si limita a calcolare a chi può beneficiare e
a chi nuocere la caduta del tiranno e il trionfo degli insorti.<br>
Fa i suoi calcoli, con lo stesso fervore e la stessa ripugnante indifferenza con cui conta i voti elettorali.<br>
Rinuncia, per tanto, a creare un mondo nuovo. Che non può essere la
semplice disposizione delle pedine esistenti, ma un'altra cosa, un altro
gioco. Amministrare le cose che esistono, giocare con le pedine del
sistema, implica l'accettare le regole del sistema e quelle regole si
chiamano, in secondo luogo, elezioni. In primo, sottostare alla violenza
dell'alto, quello che chiamano monopolio-della-violenza-<div id=":ya"><wbr>legittima. (Gli
zapatisti lo subiscono quotidianamente, è violenza tout court, e non
vale la pena dilungarsi ora). La politica altra, la politica etica,
rifiuta le pedine e le regole del gioco che vuole farci giocare la
politica dell'alto.<br>
Con quali pedine la politica altra prepara il gioco del nuovo mondo?<br>
Nella politica altra, la politica dal basso e a sinistra, non ci sono
pedine né gioco, a meno che metterci il corpo si chiami gioco.<br><br>(parte prima)<br><br>(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.org - <a href="http://www.caferebeldefc.org/" target="_blank">http://www.caferebeldefc.org/</a>)<br></div>                                            </body>
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