[Ezln-it] Marcos: 'La guerra di Calderon, un lucroso affare'
Annamaria
maribel_1994 at yahoo.it
Tue Feb 15 15:20:32 UTC 2011
La Jornada – Martedì 15
febbraio 2011
Marcos discute su chi beneficerà di questo affare e a
quale cifra ammonta
EZLN:
la guerra di Calderón produrrà migliaia di morti e lauti guadagni economici
Hermann Bellinghausen. Inviato. San
Cristóbal de Las Casas, Chis., 14 febbraio. Se la guerra di Felipe Calderón Hinojosa (benché
si sia cercato, invano, di addossarla a tutti i messicani) è un commercio (e lo
è), manca la risposta alla domanda per chi o quale è l'affare, e a che cifra ammonta,
perché non è poco quello che è in gioco, sostiene il subcomandante Marcos in uno scritto sulla guerra del Messico
dell'alto, diffuso oggi.
Da questa guerra non solo ne verranno migliaia di morti e lucrosi guadagni
economici. Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione irrimediabilmente
distrutta, spopolata, spezzata, avverte il capo militare dell'Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN): La nostra realtà nazionale è invasa
dalla guerra, per il resto persa dal governo perché concepita non come la
soluzione ad un problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità.
Questa guerra ora distrugge l'ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto
sociale.
L'esperienza bellica non solo non è più lontana per chi era abituato a
vederla in geografie o calendari distanti, ma incomincia a governare le
decisioni e le indecisioni di chi pensava che i conflitti stavano solo nei
notiziari e nei documentari di luoghi lontani come Iraq, Afghanistan o Chiapas.
Scambio epistolare
Marcos
sottolinea che la guerra si svolge ora in tutto il Messico. Grazie al
patrocinio di Calderón Hinojosa non dobbiamo ricorrere alla geografia del Medio
Oriente per riflettere criticamente sulla guerra, dice al filosofo Luis Villoro
come parte di uno scambio epistolare in corso su etica e politica: Non è più
necessario ripercorrere il calendario fino al Vietnam, Playa Girón, sempre la
Palestina. E non cito il Chiapas e la guerra contro le comunità indigene
zapatiste, perché si sa che non sono più di moda.
Per questo, aggiunge il capo zapatista, “il governo dello stato del Chiapas
ha speso un mucchio di soldi per far sì che i media non lo collochino
sull'orizzonte della guerra, ma dei ‘progressi’ nella produzione di biodiesel,
nel ‘buon’ trattamento degli emigranti, dei ‘risultati’ in agricoltura ed altre
storielle ingannevoli passate a comitati di redazione che firmano come proprie
le veline governative povere di forma e contenuti”.
L'irruzione della guerra nella vita quotidiana del Messico attuale non
arriva da un'insurrezione, né da movimenti indipendentisti o rivoluzionari. Secondo
il subcomandante Marcos, viene, come tutte le guerre di conquista, dal
Potere. E questa guerra ha in Felipe Calderón Hinojosa il suo iniziatore e
promotore istituzionale (e vergognoso).
Calderón “si è impossessato della titolarità dell'esecutivo federale per le
vie di fatto”, ma non si è accontentato del supporto mediatico ed è dovuto
ricorrere a qualcosa di più per distrarre l'attenzione ed eludere la massiccia
messa in discussione della sua legittimità: la guerra. Questo ha suscitato la
sfiducia timorosa degli industriali messicani, l'entusiasta approvazione degli
alti comandi militari ed il caloroso plauso di chi realmente comanda: il
capitale straniero.
La critica a questa catastrofe nazionale chiamata “guerra contro il crimine
organizzato”, riflette Marcos, dovrebbe essere completata da
un'analisi approfondita dei suoi sostenitori economici. Non mi riferisco solo
al vecchio assioma che in epoche di crisi e di guerra aumenta il consumo
superfluo. Nemmeno “agli incentivi che ricevono i militari (in Chiapas, gli
alti comandi militari ricevevano, o ricevono, un salario extra del 130% per
essere in ‘zona di guerra’)”. Bisognerebbe cercare anche tra le licenze, i
fornitori ed i crediti internazionali che non rientrano nella cosiddetta
“Iniciativa Mérida”.
Ricorrendo a fonti d’inchieste giornalistiche e cifre ufficiali, il comandante
ribelle rileva che nei primi quattro anni della guerra contro il crimine
organizzato, gli enti governativi incaricati (Segreteria della Difesa
Nazionale, Marina e Pubblica Sicurezza – SSP – e Procura Generale della
Repubblica) hanno ricevuto dal Bilancio di Spesa della Federazione una somma
superiore a 366 mila milioni di pesos (circa 23 miliardi di Euro al cambio
attuale).
Il capo ribelle tira fuori cifre inquietanti: Nel 2010 un soldato semplice
federale guadagnava circa 46.380 pesos l'anno (2.852 Euro); un generale di
divisione 1 milione 603 mila 80 pesos l’anno (98.575 Euro), ed il Segretario
della Difesa Nazionale percepiva redditi per 1.859.712 pesos (114.317 Euro). Con
il bilancio bellico totale del 2009 (113 mila milioni di pesos per i 4 enti - 6.948.820.000
Euro) si sarebbero potuti pagare i salari annui di 2 milioni e mezzo di soldati
semplici; o di 70.500 generali di divisione; o di 60.700 titolari della
Segreteria della Difesa Nazionale.
Ovviamente, non tutto quello che è a bilancio viene speso per stipendi e
prestazioni. C'è bisogno di armi, attrezzature, munizioni… perché quelle a
disposizione non servono più o sono obsolete, aggiunge nell’analisi. “Lasciamo
da parte la domanda ovvia di come è stato possibile che il capo supremo delle
forze armate, Felipe Calderón Hinojosa, si lanciasse in una guerra (“di lungo
respiro”, dice lui) senza avere le condizioni materiali minime per sostenerla,
non diciamo per ‘vincerla’..”
Per il subcomandante zapatista, “il principale promotore di questa
guerra è l'impero delle torbide stelle e strisce (a conti fatti, in realtà gli
unici complimenti ricevuti da Felipe Calderón Hinojosa sono arrivati dal governo
nordamericano)”. Stando così le cose,
gli Stati Uniti vinceranno con questa guerra locale? La risposta è sì, sostiene.
Lasciando da parte i guadagni economici e gli investimenti monetari in
armi, munizioni e equipaggiamenti, il risultato è la distruzione/spopolamento e
ricostruzione/riordino geopolitico che li favorisce.
Marcos lamenta che
la guerra (persa dal governo perché concepita non come la soluzione ad un
problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità), sta distruggendo
l'ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto sociale. E questo, per il
potere statunitense, è l’obiettivo da raggiungere.
Ritiene che ad ogni passo di questa guerra, per il governo federale è
sempre più difficile spiegare dove stia il nemico. E questo non solo perché i
mezzi di comunicazione di massa sono stati superati dalle forme di scambio di
informazioni della gran parte della popolazione (non solo, ma anche dalle reti
sociali e dalla telefonia mobile); ma anche e, soprattutto, perché il tono della
propaganda governativa è passata dal tentativo di inganno allo scherzo. Nello
stesso tempo, le “rivelazioni di Wikileaks
sulle opinioni dell'alto comando statunitense circa le ‘deficienze’
dell'apparato repressivo messicano (la sua inefficienza ed il suo connubio con
la criminalità) non sono nuovi”.
Fin dall'origine, questa guerra non ha una fine ed è persa, perché non ci
sarà un vincitore messicano (a differenza del governo, il potere straniero ha
sì un piano per per ricostruire / riordinare il territorio), e lo sconfitto
sarà l'ultimo angolo dello Stato Nazionale agonizzante: le relazioni sociali
che, dando identità comune, sono la base di una nazione. In conclusione,
l'identità collettiva del Messico sta per essere distrutta e soppiantata da
un'altra.
La versione completa di questo passaggio dello scritto Sulle Guerre si trova on-line. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/15/index.php?section=politica&article=017n1pol
(Traduzione
"Maribel" - Bergamo)
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