[Ezln-it] L'autonomia di fronte ai cicli del Capitale

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Thu Feb 10 15:54:40 UTC 2011


 "L'autonomia di fronte ai cicli del Capitale"

 Un breve articolo che affonda nel tema della ciclicità delle lotte e le 
 possibili soluzioni date dall'autonomia alle fasi di riflusso. Scritto 
 da Raul Zibechi su "La Jornada" del 14 gennaio 2011. Tradotto da 
 Afroditea.

 Disponibile in pdf qui:
 http://www.autistici.org/nodosolidale/uploads/materiali/zibechi_autonomia_articulo_14_01_2011.pdf

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 L’autonomia di fronte ai cicli del capitale
 di Raul Zibechi

 Se durante i primi mesi dello scorso decennio i movimenti anti-sistema 
 hanno occupato il centro dello scenario politico latinoamericano, questo 
 luogo privilegiato è ora corrisposto agli stati, amministrati da forze 
 di segno diverso da quelle che sono state protagoniste della riforma 
 neoliberista. Per quanto i governi emersi da questo formidabile ciclo di 
 lotta, che ha delegittimato il Consenso di Washington, siano affini ai 
 movimenti, quest’ultimi non possono delegare i loro obiettivi 
 emancipatori agli stati-nazione. Essi hanno necessariamente una logica 
 diversa, come appena dimostrato nella recente crisi boliviana, causata 
 dal “gasolinazo” decretato dal presidente Evo Morales.

 L’azione collettiva si attiva normalmente in periodi di crisi economica 
 e di crisi di governabilità. Ossia quando il mercato non è piú in grado 
 di garantire la sopravvivenza della popolazione e quando lo Stato non ha 
 la sufficiente legittimità per garantire l’ordine interno. Detto in 
 maniera diversa: dalle fessure che ogni tanto le sorde resistenze dal 
 basso riescono ad aprire nel modello di dominazione, si attivano grandi 
 movimenti che a volte minacciano l’ordine egemonico, tessendo 
 organizzazioni multiple. Poi, una volta passato il picco della crisi, 
 l’economia recupera il suo dinamismo, si formano nuovi governi con 
 maggiore legittimità, l’attivismo sociale diminuisce, i movimenti 
 appassiscono e in basso a sinistra s’installa la demoralizzazione e la 
 confusione.

 Questo processo abituale è stato definito come ciclo di lotte. Uno dei 
 problemi dovuti dalla produzione ciclica dell’azione sociale 
 (flusso/riflusso), è dovuto alla perdita di potenziale organizzato e 
 alla dissipazione della coscienza acquistata nei periodi di riflusso. 
 Quando poi si rilancia l’azione, buona parte dell’energia serve per 
 ricostruire l’organizzazione sociale e politica. Una delle maggiori 
 sfide dei movimenti e dei militanti anti-sistema, si distingue da sempre 
 per la sua capacità di rendersi autonoma dai cicli di lotta, ossia dai 
 cicli del capitale.

 In periodi precedenti, i rivoluzionari hanno provato a superare questi 
 alti e bassi, che distruggono buona parte della forza sociale e politica 
 costruita nell’apogeo della mobilitazione, attraverso i partiti politici 
 permanenti. Essi pretendevano incarnare l’apprendistato di ogni ciclo 
 per poi trasferirlo al seguente. La storia dimostra che ci sono tre 
 problemi: il primo è che quello che si è imparato durante un ciclo è 
 poco utile per il seguente. Il secondo è che gli apparati partitici si 
 burocratizzano e cominciano ad avere interessi propri, convertendosi in 
 un ostacolo, una volta rilanciata la lotta. Il terzo è che continua a 
 esserci una separazione tra i quadri organizzati e la base sociale. E 
 ogni volta che l’economia e la governabilità recuperano la forza per 
 attirare produttori, consumatori e gestori statali, la base sociale 
 viene trascinata verso l’integrazione al sistema.

 Gli attuali movimenti anti-sistemici in America Latina, soprattutto gli 
 indigeni, i contadini e, in maniera crescente, quelli urbani, hanno 
 caratteristiche differenti da quelle del vecchio movimento operaio. 
 Quella principale è la costruzione di un’altra economia, ossia delle 
 iniziative capaci di produrre una parte dei valori d’uso che necessitano 
 le persone. Mi riferisco alle fabbriche recuperate, ai laboratori di
 produzione di alimenti e di altri beni, materiali e simbolici, 
 vincolati alla salute, all’educazione, alla cultura, all’ozio e a 
 un’infinità d’iniziative collettive di base. Questi spazi di produzione 
 e di riproduzione della vita quotidiana sono riusciti a diventare una 
 centralità nella vita degli oppressi, come mai è successo prima nella 
 storia del capitalismo dipendente urbano. Queste mille iniziative, nate 
 nell’ultimo ciclo di lotte, e che sono poi decadute senza peró 
 scomparire, sono inserite nei territori della povertà, negli spazi che 
 resistono all’esproprio.
 A mio modo di vedere esse incarnano una delle possibilità di superare 
 la distruzione della forza organizzata che, in periodi precedenti, 
 corrispondeva alla socialdemocrazia e che oggi corrisponde a quello che 
 si puó definire “progressismo”. Ci sono due condizioni necessarie: la 
 formazione e l’economia. La prima è già un patrimonio comune della 
 maggior parte dei movimenti di nuovo tipo, che possiedono spazi 
 permanenti di formazione autonoma, non solo dei suoi membri ma di 
 settori piú ampi. Senza formazione/educazione sarà impossibile 
 stabilizzare una forza politica con una relativamente ampia base 
 sociale, che non sia culturalmente vinta dal consumismo e dalla politica 
 del sistema.

 La seconda premessa è la costruzione di qualcosa che potremmo 
 denominare un'economia in resistenza, che al momento è una realtà 
 embrionale e complessa. Può e deve collocarsi negli spazi produttivi già 
 esistenti, ma deve andare più lontano per conquistare settori più ampii 
 di quelli direttamenti coinvolti nella produzione. Bisogna costruirla in 
 maniera differente all'economia capitalista, ossia non con l'idea di 
 accumulare ma con quella di assicurare il flusso dei valori d'uso che 
 devono essere a disposizione di tutti e tutte. In qualche modo 
 quest'economia dovrebbe essere ispirata alla celebre frase per cui "da 
 ognuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno seccondo i propri 
 bisogni". Questa è giusto
 un'indicazione, un'ispirazione, coscienti che questi spazi sono ambiti 
 dallo Stato e dal Mercato e devono essere difesi, innalzando muri 
 culturali più che politici, simbolici più che materiali.

 La costruzione dell'autonomia di quelli dal basso non puó dipendere dai 
 cicli del capitale, poiché sarebbe come negare il proprio carattere 
 autonomo. Oggi sappiamo che l’autonomia, nella sua capacità di spingersi 
 più in là di un’attitudine reattiva, è la principale condizione per non 
 far diluire il periodo di crisi attuale in una nuova e monumentale 
 frustrazione. Sappiamo pure che la sua costruzione non deve ipotecarsi 
 in strutture gerarchiche o stato centriche e che non sarà 
 l’organizzazione a risolvere la sfida dell’autonomia. Saranno 
 probabilmente la combinazione d’autoeducazione sistematica e la 
 produzione non mercantile, quelle che ci permetteranno d’affrontare, in 
 condizioni migliori, l’inevitabile recupero del Capitale.

 La jornada, 14/01/11
 Traduzione di Afroditea

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