[Ezln-it] Gianni Proiettis: VE LO DO IO MARCOS !

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Tue Mar 30 18:03:44 CEST 2010





Per vedere le foto il link http://blog.ilmanifesto.it/popocate/
POPOCATÉPETL

La lava del
Messico 

a cura di Gianni
Proiettis

 

Ve lo do io Marcos

 

Più che una bomba mediatica, la fotografia del finto
subcomandante Marcos e i “segreti” divulgati da un ex-guerrigliero zapatista,
si sono rivelate una bombetta puzzolente della destra fognaria messicana.

Peccato che ci siano degli informatori così fessi da
ripubblicarla.

 

Il quotidiano Reforma di sabato 27 marzo si decide per lo
scoop a tutti i costi: un sedicente disertore dell’Ejercito Zapatista de
Liberación Nacional avrebbe consegnato alla redazione del giornale alcune foto
con il “vero volto” del leggendario subcomandante insieme a un memoriale di 83
pagine con i dati di una presunta “struttura segreta” dell’Ezln, altre foto di
altri capi zapatisti a viso scoperto con tanto di numeri di cellulari e, dulcis
in fundo, le “prove”, queste ultime solo verbali, di finanziamenti occulti
dell’Eta basca – e di alcuni compagnucci italiani – agli zapatisti per
l’acquisto di armi. Bum!

La notizia-Frankenstein era talmente scucita che non ha
tardato a cascare a pezzi, a partire dalla testa: è dal 9 febbraio del 1995 che
l’identità – e la faccia – del subcomandante Marcos sono note.

Fu lo stesso governo di Ernesto Zedillo, entrato da poco in
funzione, a renderle pubbliche, sbattendo il mostro in prima serata televisiva.

 

Un portavoce della procura smaschera in diretta – c’era
anche il rullo di tamburi? – una fotografia del sub Marcos, rimuovendo un
lucido con il passamontagna. La faccia che appare è quella di un pallido e
barbuto professore di filosofia. Il capo dei ribelli senza volto, un esercito
di lillipuziani coperti da passamontagna e paliacates, che sembrano partoriti
direttamente dalla Madre Terra, si chiama Rafael Sebastián Guillén Vicente, è
nato a Tampico, nello stato del Tamaulipas, il 19 giugno del 1957.

 

Nella tradizione della lucha libre, un lottatore è
smascherato dopo la sconfitta, come ultima umiliazione. Ma nel caso di Rafael
Guillén, il tiro gli uscì dalla culatta agli strateghi del governo. Studente
modello fin dai tempi delle medie, sempre con un libro sotto il braccio, già da
ragazzo paladino donchisciottesco dei deboli e gli oppressi, il futuro
subcomandante, secondo la biografia ufficiale, si trasforma in brillante
laureato della facoltà di lettere e filosofia della Unam, la prestigiosa
università di Città del Messico, poi in professore di comunicazione grafica
nella Uam-Xochimilco, un’altra università pubblica della capitale.

 

Nei primi anni ’80, Rafael molla tutto e va in Chiapas. Né
la famiglia a Tampico, né i suoi amici di Città del Messico ne sanno più
niente.

Il 17 novembre 1983 è tra i fondatori dell’esercito
zapatista nella selva lacandona. Sta imparando tzeltal e tojolabal. Crede
ancora che saranno lui e i suoi compagni a indottrinare gli indigeni. Non
sospetta affatto che succederà il contrario.

 

Ma scusate. Mi stavo perdendo in una biografia interessante
ma che non viene al caso, almeno ora. Dal 1983, mandiamo la macchina del tempo
avanti tutta e torniamo al 9 febbraio 1995, il giorno in cui il governo di
Ernesto Zedillo giocò la carta del tradimento, come aveva fatto il generale
Guajardo con Emiliano Zapata nel 1919.

Il contesto, alla fine del 1994, quando l’Ezln stava per
festeggiare il primo compleanno della sua uscita dalla selva, un debutto che
suscitò simpatie e speranze in una sinistra mondiale bastonata e depressa, il
contesto, dicevo, si complicò improvvisamente. Il 19 dicembre, dopo la dichiarazione
di autonomia di 38 municipi zapatisti del Chiapas – e uno spiegamento
dimostrativo delle forze ribelli su tutto il territorio, anche fuori della
selva – l’esercito messicano, in risposta, militarizza capillarmente tutto lo
stato.

In gennaio però, a bocce ferme, il governo Zedillo opta per
la trattativa e manda il giovane ministro degli interni, Esteban Moctezuma, a
dialogare con i guerriglieri nella selva. Lo “smascheramento” del 9 febbraio,
l’accerchiamento della comunità di La Realidad e il blitz per catturare Marcos
– mosse effettuate a sorpresa mentre erano in corso i dialoghi – non diedero i
frutti sperati. Il subcomandante riuscì a sfuggire alla cattura, gli sbirri del
governo arrestarono con stizza vendicativa alcuni dei mediatori, il parlamento
votò un mese dopo la Ley de concordia y pacificación, che sancisce il
riconoscimento degli “inconformes” zapatisti, sospende indefinitamente le
azioni penali nei loro confronti, concede loro piena libertà di transito sul
territorio nazionale – mascherati ma disarmati.

 

Da allora, 1995, sono passati quindici anni, la violenza dei
latifondisti del Chiapas non ha mai smesso di esercitarsi su quegli indios
“alzados” che hanno inalberato la bandiera dell’autonomia e della dignità.
Attraverso le bande di paramilitari, incoraggiate da successivi governi e
addestrate dall’esercito, hanno continuato ad abbaiare – e a volte a mordere
rabbiosamente, come nel caso della strage di Acteal, nel dicembre 1997 – a chi
ha avuto il coraggio e la forza di dire basta a secoli di oppressione.



In questi anni, le armi degli zapatisti non hanno più
sparato un colpo e le comunità si sono strutturate in una rete autonoma che fa
capo a cinque Caracoles, ognuno con una sua Junta de Buen Gobierno, in cui, a
rotazione, tutti i comuneros si turnano nel “mandar obedeciendo”, l’esercizio
del potere come servizio alla comunità.

In questi anni, la solidarietà mondiale ha permesso alle
comunità autonome zapatiste di realizzare progetti come scuole e biblioteche di
campagna, reti di acqua potabile, cliniche che combinano la medicina
tradizionale con l’allopatica occidentale, piccole centrali idroelettriche,
forni a basso consumo, radioemittenti in fm e un sacco di altre cose che ne
hanno migliorato la qualità di vita.

Con migliaia di giovani europei e nordamericani, che sono
venuti come pacifici campamentistas per allontanare lo spettro delle incursioni
militari, si è creato un legame di arricchimento reciproco, di solidarietà
internazionalista. E’ vero che sono anche circolati dei soldi in questi anni –
il più delle volte sottoscrizioni o collette di centri sociali – ma sono sempre
serviti a finanziare opere di pace.

Il grande arsenale di cui parla adesso il presunto “pentito”
zapatista non è mai esistito. E lo dico con cognizione di causa, per aver visto
l’Ezln in azione il 1º gennaio 1994 a San Cristóbal e poi in numerose parate
militari nella selva: le armi più efficaci degli zapatisti furono proprio quei
finti fucili di legno che, come disse Carlos Fuentes, “fecero centro nel cuore
della nazione”.

 

Il preteso scoop del quotidiano messicano Reforma con le sue
“rivelazioni sensazionali” – una novità, dopo tanto tempo di silenzio sullo
zapatismo e l’eclisse totale di Marcos -non è indolore né innocuo, somiglia
piuttosto a una coda di scorpione che, se non è schiacciata bene, può iniettare
un po’ di veleno.

Alcuni deputati stanno già fingendo di credere alla notizia
e raccomandano indagini e inchieste sui presunti finanziamenti dell’Eta, di cui
nessuno finora ha fornito uno straccio di prova.

Si chiederà l’estradizione di Bertinotti, per aver fatto un
video con il subcomandante in tempi di alto rating? Gli Ya Basta non verranno
più fatti entrare in Messico, in quanto sospetti finanziatori delle cartucce
calibro 12 che adornano il petto del sup?

Verrebbe da ironizzare, se non fosse che nel Chiapas del
2010 l’assedio aggressivo nei confronti delle comunità zapatiste è ripreso, e
con un vigore che non si vedeva da tempo. Basta leggere su La Jornada i
reportage di Hermann Bellinghausen, che rivela una recrudescenza dei conflitti
per le terre in cui le forze militari e di polizia, per non parlare dei
giudici, stanno sempre dalla parte degli aggressori, spesso organizzazioni
apparentemente legali come la Opddic (Organización para la Defensa de los
Derechos Indígenas y Campesinos), ma con un braccio armato foraggiato dallo
stato e con mire sulle terre zapatiste.

Chi avanza a grandi passi nello stato sono le compagnie
minerarie, ultima frontiera dell’economia neoliberale. Ultima perché, dopo il
loro passaggio, non cresce davvero più l’erba. E crescono invece i morti,
specie fra i difensori delle comunità, che vogliono proteggere le loro terre e
la loro gente.

E’ il caso di Mariano Abarca, un leader della lotta contro
la devastazione che portano le compagnie estrattive nello stato. E’ per aver
organizzato un movimento popolare che chiedeva il ritiro dell’industria
canadese Blackfire che Mariano Abarca è stato ucciso da due sicari il 27
novembre scorso. Non ci sono prove – finora – per accusare direttamente la Blackfire
dell’omicidio ma è risultata palese l’omissione delle autorità che, sapendo
delle minacce di morte al dirigente campesino, si sono guardate bene dal
proteggerlo.

Il governatore del Chiapas, il giovane e opportunista Juan
Sabines, che fu eletto con il sostegno di Lopez Obrador ma gli diede le spalle
subito dopo per mettersi a disposizione del presidente Calderón, finge di non
sapere nulla, se si parla di aggressioni agli zapatisti.

Figuriamoci se sa chi ha pagato per lo scoop di Reforma.

E’ troppo occupato nel piazzare i suoi uomini come candidati
alle prossime elezioni. Ai primi di luglio, qui in Chiapas, si rinnova l’intero
parlamento locale. Normalmente si sarebbe votato anche per rinnovare i 118
consigli comunali, ma per una riforma legislativa transitoria saranno i nuovi
parlamentari a designare le amministrazioni locali. Delle acque torbide ne
approfitta il pescatore, recita un vecchio proverbio messicano.

 

 

pubblicato il 29 marzo 2010 




      
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