[Ezln-it] Impunita' e giustizia autonoma

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Wed Jun 24 02:25:50 CEST 2009



están en algún sitio / nube o tumba
están en algún sitio / estoy seguro
allá en el sur del alma
es posible que hayan extraviado la brújula
y hoy vaguen preguntando preguntando
dónde carajo queda el buen amor
porque vienen del odio


stanno in qualche sito / nuvola o tomba
stanno in qualche sito / sono sicuro
li' a sud dell'anima
e' possibile che abbiano perso la bussola
e oggi vaghino domandando domandando
dove cavolo e' rimasto il buon amore
perche' vengono dall'odio

(Desaparecidos, Mario Benedetti - Uruguay)


Caracol di Morelia, ampio spazio verde dell'ononima sede del governo
autonomo zapatista denominato "Cuore dell'arcobaleno della speranza" che
raccoglie i municipi autonomi della zona centrale del territorio del
Chiapas liberato dall'EZLN. Tra i cavalli e le vacche al pascolo, incuneato
tra colline ricoperte di pini, si svolge il PRIMO INCONTRO CONTINENTALE
CONTRO L'IMPUNITA' E PER LA GIUSTIZIA AUTONOMA, convocato da distinte
organizzazioni messicane per i diritti umani e ospitato dalla Giunta del
Buon Governo "Vortice delle nostre parole".

E' l'America Latina dei dolori, il continente delle vene aperte e delle
ferite profonde; e' l'America della tenacia della memoria quella che si
alterna sul palco. 400 partecipanti di 27 paesi, soprattutto
latinoamericani, per due giorni hanno ascoltato i racconti agghiaccianti,
sofferti, incazzati di alcune decine di delegati delle organizzazioni
invitate a riunirsi in queste scorcio verde e ribelle del sud-est
messicano.

Si puo' fare il riassunto di un incontro in cui ogni parola richiama storie
ancestrali, esperienze di lotte estenuanti, battaglie popolari, familiari
spariti nel nulla o inghiottiti nelle profondita' dell'oceano? L'incontro
e' stato uno squarcio sul silenzio della Storia, quella che a mala pena
ammette certe magagne e poi subito le perdona, le insabbia, le dimentica.

Due giorni, il 20 ed il 21 giugno, in cui la memoria si e' imposta
sull'omologante oblio a cui ci condanna la cosidetta "fine della storia"
sancita dal neoliberismo. Due giorni in cui alcuni/e delle migliaia di
attivist* del continente che quotidianamente non dimenticano i propri
morti, i soprusi, le torture ed il proprio passato, hanno potuto
collettivizzare questo dolore, superando la vergogna di sentirsi vittime o
sconfitti.

Una cosa e' certa: le sparizioni forzate, i paramilitari, gli omicidi
politici (chirurgici o di massa), il furto delle terre degli indigeni e la
loro emarginazione, la tortura e la violenza sessuale come elemento di
terrore politico, la militarizzazione dei territori, non sono eco di
dittature malvagie che appartengono al passato; sono tagli profondi e
sanguinanti, non solo orribili cicatrici. Sono la barbarie quotidiana che
subisce la gente, i popoli indigeni, gli/le abitanti delle campagne e delle
periferie del continente. Il capitale, con panni democratici, ricicla
costantemente gli strumenti del terrore di cui dispongono i suoi servi piu'
abbietti: i funzionari, la polizia, l'esercito, i fascisti ed i
paramilitari.

Parlano gli/le invitati/e. 

TESTIMONIANZE DEL CONTINENTE LATINOAMERICANO

Impugna il microfono il Peru' delle decine di indigeni massacrati lo scorso
5 giugno, a Bagua, per ordine del presidente criminale Alan Garcia, i cui
ministri e generali sono sotto inchiesta per le atrocita' commesse durante
la dittatura prima e la "democrazia" di Fujimori poi. Ci raccontano dei
corpi degli indigeni amazzonici bruciati o portati via in elicottero e poi
tirati in acque profonde in sacchi con pietre, per farne perdere le
traccie, i conti ed insultarne la memoria. Lo stesso Peru' che, durante la
dittatura, condannava per negligenza (!) i militari che lasciavano qualche
prova delle "desapariciones" in cui erano coinvolti. Il Peru' di Fujimori
che approvo' la legge dell'amnistia, o dell'amnesia come la chiamano i/le
compagn*, con la quale si proibiva ogni indagine sui delitti commessi dai
militari. Solo con la sua caduta (e la sua condanna a 25 anni di carcere)
si sono finalmente aperti gli archivi e le caserme delle torture, dove, per
esempio, si sono trovati i resti di 80 cadaveri e addirittura un forno
crematorio.

Queste leggi dell'amnesia, che perdonano l'imperdonabile ai militari, sono
una caratteristica costante della transizione dalla dittatura alla
democrazia nei Paesi come Argentina, Peru', Cile, Uruguay, Paraguay ed
altri. Dimostrano, giuridicamente, la continuita' tra queste due fasi di un
capitalismo che si serve di forme di governo diverse per i medesimi fini:
l'accumulazione di richezza e lo sfruttamento delle risorse umane e
naturali. L'impunita' per i potenti (accompagnata dalla repressione delle
lotte sociali o della diversita' culturale) e' un male endemico del
capitalismo, dato che e' frutto dell'accordo esplicito tra il potere
economico e quello politico/militare. Questa e' una diagnosi deducibile dai
numerosi interventi.

Non manca la testimonianza forte, fortissima di una compagna
dell'Associazione ex Detenuti Desaparecidos, Argentina. Le parole tremano
nell'aria, e' soffocante ogni volta ricordare l'assenza di trentamila
oppositori al regime militare argentino. La sala stracolma ed emozionata
vibra, chiude il pugno e gli occhi per il dolore della memoria. Pero' Jorge
Julio Lopez non e' sparito solo tanti anni fa, l'hanno fatto risparire nel
2006, essendo membro di quest'associazione e testimone chiave in vari
processi contro i militari. Ritorna l'incubo, non si hanno da tre anni
notizie di quest'anziano compagno costretto a rivivere la piu' brutale
delle sue esperienze. Si sommano le ingiustizie.

Le organizzazioni sociali, civili e per i diritti umani, riescono con
grande sforzo a rompere il silenzio e negli anni hanno ottenuto il processo
penale per vari militari, poliziotti o funzionari responsabili delle stragi
e delle torture. Pero', per esempio in Argentina, questi imputati non sono
mai giudicati per genocidio ma solo per casi individuali di tortura,
omicidio o sparizione. Cio' allunga gli iter giudiziari, perche' i
superstiti sono costretti a ripetere la loro esperienza in piu' sedi e
nelle diverse istanze dei vari processi particolari. Inoltre condannare
questi assassini per genocidio avrebbe un significativo valore politico,
perche' si riconoscerebbe la strategia di terrore dei vari stati contro
generazioni intere d'oppositori, invece di ridurre il tutto a sporadici
casi scollegati.

Comunque se non fosse chiaro che in Argentina, come altrove, l'impunita'
regna, basta segnalare che 9026 membri della dittatura, torturatori diretti
di migliaia di cittadini, ancora occupano cariche ufficiali nell'attuale
sistema giudiziario. 

L'Asofam (associazione familiari dei desaparecidos) del Bolivia ricorda che
la lotta paga. Il movimento sociale, dopo aver dato a Evo Morales una
notevole spinta per farlo diventare il primo presidente indigeno d'America
Latina, pressiona continuamente il governo affinche' faccia piazza pulita
nel sistema giudiziario degli uomini della dittatura. La pressione popolare
ha permesso l'espulsione del dipartimento antidroga statunitense, la DEA,
che con la scusa della lotta al narcotraffico solo si e' dedicata per anni
alla repressione della guerriglia e dei movimenti sociali. Per farla finita
con l'impunita', con l'ingiustizia, propongono il modello appena
ufficializzato dal governo Morales: il riconoscimento della giustizia
comuninitaria.

E se e' vero che in Peru' un capo dei servizi segreti e' stato condannato a
35 anni di galera, queste sentenze sono solo eccezioni ed inoltre lasciano
intatto il tessuto cancerogeno con che capitalismo e barbarie si
autoalimentano. E ancora non e' sufficente, perche' c'e' una rete di
complici delle dittature, dei furti illeciti di terre e delle eliminazioni
di cittadini che non e' stata neanche mai sfiorata dalla giustizia legale:
le multinazionali, per esempio, o tutte quelle imprese che hanno
proliferato e si sono arrichite favorendo lo sterminio.

In questo senso, gli attuali governi di "sinistra" del continente, come
dice una compagna cilena, agiscono schizofrenicamente: "la memoria del
passato, l'azahimer del presente", ovvero la condanna formale degli orrori
della dittatura e l'attuale violenta repressione dei movimenti sociali ed
indigeni. I paramilitari in Bolivia, Chiapas e Colombia, i desaparecidos in
Messico, Guatemala, Argentina, gli omicidi politici in Venezuela e nella
zona amazzonica, le stragi di contadini ed indigeni in Peru', Cile e
Brasile, testimoniano la continuita' della feroce repressione militare che
vive il continente e che i governi di sinistra, lungi dal condannare,
perpetuano.

Poi tocca al Guatemala, il paese della paura. Un territorio cosi' piccolo
sembra impossibile possa contenere tanto odio: 45.000 desaparecidos, la
strage sistematica dei maya, la guerra civile; ed oggi ancora aggressioni,
pistolettate, sparizioni e sabotaggi agli/lle attivist* dei diritti umani
che cercano di ricomporre il mosaico della memoria oltraggiata ed agli
indigeni che difendono le proprie terre. Tutto cio' in un contesto feroce:
un milione di bambini lavoratori (che nei latifondi gli permettono di
studiare solo fino ai 10 anni) e migliaia di femminicidi strazianti
impuniti. 

Perche' come qualcuno dice: "la piu' grande violazione dei diritti umani e'
la poverta". Ed Haiti, nella cui isoletta milioni di persone affogano nella
miseria, l'unica forma di giustizia comincia ad essere quella dei
linciamenti pubblici. Oltre l'orlo della disperazione.

Deduciamo che la memoria e' uno strumento indispensabile contro l'oblio e
il silenzio che favoriscono l'impunita' e il ripetersi degli errori
criminali della storia. Pero' oggi tali barbarie vivono una recrudescenza,
senza che in realta' si sia tenuta una vera interruzione dalle dittature,
accentuata dall'avidita' neoliberista che ha scatenato una guerra tra
l'economia formale (ovvero l'accumulazione di capitale) e la cosidetta
economia di sussistenza (ovvero l'umanita' "improduttiva" degli indigeni,
piccoli agricoltori, artigiani, venditori ambulanti, migranti). E' la
guerra globale al nemico interno.

MESSICO DE MIS DOLORES

Una mappatura delle violazioni in Messico e' praticamente un itinerario
infinito lungo e largo per il Paese. Sul palco passano i rappresentanti di
tanti ejidos, terre comunali per decreto rivoluzionario, che ripetono la
stessa tragedia: ci hanno rubato la terra, sputando sulla nostra dignita'. 

Per strappare le terre agli indigeni, come quelli della Forza Indigena
Chimalteca o della Loxicha (entrambe regioni di Oaxaca), o per polverizzare
i possedimenti, per esempio, dell'Ejido San Pedro o di Santa Cruz di
Atizapan, lo Stato, giocando a favore degli interessi geostrategici delle
multinazionali del turismo, dell'estrazione mineraria, dell'industria
alimentare, non lesina mezzi trucidi. Da un lato inchioda i contadini in
processi burocratici presso le istanze civili per decenni, dall'altro
agisce, attraverso gruppi paramilitari o con i partiti politici, rubando di
fatto le terre, incarcerando o assassinando i dirigenti locali dei
contadini.

Altro dolore: Loma del Petroleo (Ciudad Juarez), una periferia abbandonata
nel deserto e autocostruita dai cittadini e che per anni nessuno si e'
filata fino a che risulta essere un intralcio per un'autostrada di un
megaprogetto edilizio a ridosso della frontiera statunitense. Li hanno
circondati con filo spinato, un check-point di guardie private vigila e
registra l'entrata e l'uscita della gente, hanno distrutto la scuola,
bruciato case, assassinato i piu' volenterosi attivisti con il fine di
spopolare il luogo. Ci sono quasi riusciti. Quasi. Un nucleo irriducibile
di cittadini/e e' pronto a tutto pur di non andarsene ed esigire giustizia.

Ancora dal nord piovono lacrime: la miniera di Pasta de Conchos. Nel
febbraio del 2006 una miniera crolla, dovuta alla mancanza di un sistema di
sicurezza decente dell'impresa estrattrice, schiacciando a centinaia di
metri sotto il suolo 65 minatori. Solo due corpi sono stati recuperati
mentre l'impresa, lo Stato e addirittura la Commissione Nazionale dei
Diritti Umani hanno detto alle vedove di rinunciare ai corpi dei mariti
dato che la miniera era piena di gas pericoloso, di acqua, o addirittura di
HIV perche' i minatori la' sotto si drogavano (!). L'oltraggio e' troppo
offensivo per essere accettato, cosi' un gruppo di minatori superstiti,
appoggiato dalla vedove che vendono cibo per strada, hanno cominciato a
scavare per conto loro, facendo pubbliche le menzogne con che si
giustificava l'inagibilita' della miniera e, soprattutto, le deficenza del
sistema di sicurezza. Mancano pochi metri per recuperare almeno alcuni dei
corpi dei compagni uccisi dall'avidita' del capitale. L'impresa sta
rendendo la vita impossibile alla vedove, prima trattando di comprarle con
spicci, ora sabotandogli il lavoro in ogni modo. Nel frattempo, nella tele,
sui giornali, l'impresa assassina Grupo Mexico pianta alberi alla memoria,
si lava le mani con la propaganda ecologista e dando corsi di sicurezza sul
lavoro. Eppure una proposta di giusta giustizia nasce dal basso: la idea di
un giorno occupare la miniera per riattivarla cooperativamente.

In Guerrero, la regione della famosa localita' balneare Acapulco, lo stato
d'assedio militare e' permanente. Le organizzazioni sociali locali dicono
che sono arrivate al limite e che la presenza dell'esercito, che sia per
combattere il narcotraffico o la guerriglia, e' intollerabile.
L'occupazione militare in realta' copre e facilita l'usurpazione delle
terre ai contadini, dato che tali forze armate sono manovrate e guidate dai
gruppi di potere economico locale e dai cacique (mafiosetti rurali). Gli
abusi dovuti alla militarizzazione del territorio guerrerense sono
innumerabili, cosi' come il saldo dell'attuale guerra sporca: duecento
desaparecidos e omicidi mirati, come quello dei due militanti indigeni
assassinati nel febbraio di quest'anno.

E ancora: i corpi mutilati di Ciudad Juarez, una Ciudad Juarez che
fisicamente e tragicamente non e' piu' solo quella vicina a El Paso ma
s'estende per tutta la frontiera, ingigantendo la barbarie e le sevizie
lungo quelle migliaia di chilometri masticati dal deserto, dalla poverta',
dalle grinfie maschiliste e perverse del capitalismo. Il femminicidio e'
l'esempio piu' eclatante dell'impunita', perche' la violenza di genere e'
una violenza su corpi che la societa' considera "usa&getta", su corpi in
cui il paradigma del dominio patriarcale si afferma pienamente, lasciando
segni, cicatrici profonde che determinano le prove tangibili della
possessione coloniale e maschile del corpo della donna. 

I ventri squarciati delle donne incinte ad Acteal, le bambine seviziate, le
testimonianze delle intimita’ ferite ed invase delle compagne che
resistettero a San Salvador Ateneo. Sembra quasi riascoltarne le grida.

Ricapitola e riassume tanto dolore il Collettivo Avvocati Zapatisti, nato a
difesa dei prigionieri e delle prigioniere politiche di Atenco. Negli
ultimi anni negli uffici dei diritti umani sono giunte 7000 denuncie di
violazioni commesse dall’esercito messicano. I compagni avvocati parlano
del costante sabotaggio della giustizia nei confronti dei processi penali
intentati dai lottatori sociali contro membri del potere. Ad esempio, ci
raccontano, che ogni denuncia di “desaparicion” che fanno, il PM la
abbassa alla qualifica di “sequestro”, anche se non c’e’ mai la
richiesta di riscatto nelle sparizioni politiche. Allo stesso modo e
scandalosamente, la denuncia di tortura sessuale diventa “atti
libidinosi” quando non c’è penetrazione vaginale dell’organo
sessuale maschile. Come a dire che rapporti orali forzati, penetrazioni con
manganello e tutte le angherie commesse ad Atenco ed altrove non sono
“tortura sessuale” per il Potere, fallocentrico ed auto-assolutorio
fino alla fine.  

Chiariscono gli avvocati che bisogna agire nelle aule dei tribunali
“senza rivendicare le leggi del nemico, piuttosto usandole per liberare i
nostri prigionieri e punire gli assassini, rompendo cosi' la cultura del
silenzio”.

I TAVOLI DI DISCUSSIONE

La domenica pomeriggio i/le partecipanti all'Incontro, invitati/e e
spettatori/trici, si sono mischiati e divisi per discussioni tematiche
orizzontali, scambiando esperienze ed opinioni per circa tre ore.

Il tavolo 1, cui tema era “repressione e specificita' delle politiche
contro-insurrezionali”, oltre ad analizzare le molteplici forme di
oppressione che si vivono nella citta’ e nella campagna latinoamericana,
ha concentrato lo sguardo sulla violenza sui bambini, come segnalato dal
settore infanzia dell’Altra Campagna, utilizzata per infondere terrore
alla comunita' intera e paralizzarla. Qualcosa di simile a quanto avviene
con la violenza sessuale sulle donne, finalizzata a macchiare l’onore
della donna, del suo uomo, della famiglia e del villaggio intero. Infine,
per mantenere nel terrore la gente che si solidarizza con le lotte, c'e'
la' “desaparicion”, l’oblio, il nulla.

Il tavolo 2 ha sviluppato il seguente tema “Impunita': la memoria contro
la dimenticanza e il silenzio” con la partecipazione nutrita dei gruppi
di ex detenuti e desaparecidos del cono sud del continente. Essenzialmente
si e' ribadita la necessita' di una rete alternativa di archivi della
memoria storica e l'apertura di tutti gli archivi della dittatura. La
necessita', inoltre, di un Tribunale Autonomo Continentale che giudichi i
delitti dei governi o degli assassini del popolo. Un tribunale simbolico,
non legislativo, di alto valore morale che pero' vada oltre questa
autorita' morale implicita attraverso il lavoro di coscienza e di
organizzazione della lotta che comporterebbe smascherare e processare a
livello internazionale i criminali contro i movimenti.
Un'esortazione, che suona familiare, invita tutt* ad essere futuro vivo del
passato che ci unisce: “Che i graffitari disegnino, che i poeti cantino,
che i musicisti suonino, che tutt* ricordino, perchep' la memoria e' un
ingranaggio collettivo” e un terreno ineludibile di scontro politico.

Nel tavolo 3 si sono dibattute e confrontate “le forme della giustizia
autonoma”, ovvero come procurare sicurezza e benessere alla comunita'
umana dal momento che la giustizia di Stato solo rappresenta gli interessi
della classe dominante. Le esperienze delle giunte di buon governo
zapatiste e della polizia comunitaria di Guerrero, cioe' forme comunitari e
non retribuite di vigilanza, sono un esempio concreto di una giustizia
plurale, popolare, specifica e differente in ogni posto perche' rispettosa
della varieta' delle culture. In questo senso e' importante la
considerazione del delegato del Movimento Senza Terra del Brasile: “la
nostra giustizia non e' solo la punibilita' dei nostri oppressori;
giustizia e' innanzitutto equa distribuzione della richezza, giusta
ripartizione della terra, diritto all'educazione per tutt*”, uno
giustizia sociale, che da' e non castiga. Il Collettivo Avvocati Zapatisti
presenta una proposta, abbastanza dettagliata nella struttura, di un
Tribunale Autonomo Internazionale che giudichi i governi e gli oppressori.
Questa struttura, specificano, non andrebbe a sostituire la giustizia
autonoma e popolare che viene dal basso e che, nella misura che va
diffondendosi nei quartieri, nelle campagne e nelle organizzazioni, e' il
vero tribunale assembleare dal basso. Questo Tribunale Autonomo
Internazionale, organizzato in una piramide di assemblee autonome di
giurati, avrebbe specificamente la competenza dei reati di lesa umanita';
oltre ai piu' conosciuti citano anche: crimini per odio omofobico,
saccheggio delle risorse naturali e sterminio del patrimonio delle culture
ancestrali.
 
Il quarto tavolo di discussione ha analizzato “le molteplici forme di
resistenza” che i movimenti sociali si danno per difendersi, attaccare e
smuovere e la realta' che gli tocca cambiare. Farne la lista e' un'impresa
impossibile, dato che la ricchezza del movimento e' proprio la sua
irriducibile diversita'. Resta chiaro che il punto di fuga delle
prospettive di lotta del continente latinoamericano rimane la terra ed il
territorio, sia intendendo lo spazio pubblico urbano sempre piu' minacciato
dall'avanzata privatizzatrice, che lo spazio rurale, usurpato dagli
interessi delle multinazionali. Una frase, riferendosi alla difesa dei
boschi, della natura, delle tradizioni locali, sembra esauriente: “cio'
che i fratelli indigeni difendono oggi, e' quello che domani dobbiamo
difendere tutti”. Interessante sottolineare che le diverse opinioni
convergevano sulla necessita' di difendere un territorio concreto, fisico e
non aleatorio, territorio in cui sia possibile costruire la propria
autonomia e lanciare le sfide al mondo privatizzato dal capitalismo. I/le
partecipanti allo stesso tavolo di discussione, infine, hanno sostenuto che
e' necessario ribadire il diritto popolare all'autodifesa armata quando si
e' attaccati militarmente.

L'ultimo tavolo ha come titolo “Impunita' e giustizia viste dalla
donna”. In questa discussione si sono confermate le analisi circa il
domino patriarcale sul corpo della donna, considerato campo di battaglia e
luogo d'affermazione del potere. C'e' stato un particolare e profondo
scambio di opinioni sulla necessita' di vincere la paura, con la proposta
di un workshop delle compagne di Atenco, torturate sessualmente dalla
polizia. O, come dicono le lavoratrici sessuali di Tlaxcala li' presenti,
imparare almeno a gestire questa paura, a non lasciarsi immobilizzare dal
terrore. Le compagne hanno discusso anche di come vorrebbero che questa
giustizia autonoma non si assomigli per niente a quella del potere, che non
punisca, che non offenda la dignita', che non uccida o metta in carcere i
colpevoli. In questo senso alcune usanze delle cultura ancestrali possono
essere proposte utili su come gestire il difficile compito della sicurezza
e della giustizia. O, rimanendo sempre nelle esperienze popolari, citano
l'estrache argentino, cioe' la vergogna pubblica che un quartiere intero
mette in atto sfilando rumorosamente davanti la casa di un assassino o di
un torturatore, additandolo alla luce del sole.

Finisce, come sempre in America Latina, con canti e pugni chiusi. Gli
organizzatori ringraziano la Giunta del Buon Governo di Morelia che legge
un comunicato sulla necessita' di continuare a tessere reti, a
ri-conoscerci, a raccontarci. Finisce con le note e le parole della giovane
Maria Ines Ochoa , figlia della nota cantante Amparo Ochoa, che canta con
una passione profonda e fa venire la pelle d'oca e la voglia di gritare, di
piangere, di esserci, di dedicarsi completamente a questo mondo nuovo che
urge.

Si canta, nonostante tanto dolore, tanta rabbia. Cosi' come ha chiuso il
suo intervento una compagna ex desaparecida argentina, citando il maestro
Mario Benedetti, rilanciamo:

Perche' cantiamo? 
Cantiamo per il bambino e perche' tutto 
perche' qualche futuro e perche' il popolo 
Cantiamo perche' i sopravvissuti 
e i nostri morti vogliono che cantiamo.

Cantamos por el niño y porque todo
y porque algún futuro y porque el pueblo
cantamos porque los sobrevivientes
y nuestros muertos quieren que cantemos 

(Porque cantamos – Mario Benedetti)


Un compagno del Nodo Solidale

Collettivo Nodo Solidale 
http://www.autistici.org/nodosolidale/


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