[Ezln-it] Marcos: il mondo per cui lottiamo non unico ne indivisibile

Annamaria maribel_1994 at yahoo.it
Tue Jan 6 17:17:22 CET 2009





La Jornada –
Martedì 6 gennaio 2009

 

Il Movimento Sin
Tierra denuncia che il Messico è il laboratorio sperimentale del capitalismo

“IL MONDO PER IL QUALE LOTTIAMO NON È UNICO NÉ
INDIVISIBILE”, SOSTIENE MARCOS

 

Adesso sappiamo
che un altro tutto è possibile, afferma il comandante David chiudendo il
Festival de la Digna Rabia.

 

González Casanova
esorta ad avanzare nella “pedagogia dell’emancipazione”.

 

Hermann Bellinghausen

 

San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 gennaio. Con le
parole del comandante David si è chiuso questa notte il primo Festival
Mondiale della Degna Rabbia, in una sessione in cui hanno parlato anche Pablo
González Casanova ed il subcomandante Marcos, che ha sostenuto che per
gli zapatisti "il mondo per il quale lottiamo non è unico né indivisibile.  

  

"Non abbiamo scartato la possibilità di sbagliarci in
qualcosa, in molto, o in tutto", ha ammesso davanti ai relatori che hanno
ribadito in diversi modi il loro rispetto, ammirazione e gratitudine alla lotta
degli zapatisti.

 

González Casanova, fedele sostenitore del movimento
zapatista ("sempre con umiltà", ha riconosciuto Marcos) ha
dichiarato che due momenti trascendentali della sua vita sono stati la
rivoluzione a Cuba e l'insurrezione dei maya di Chiapas, e dopo aver ribadito
il suo rispetto, riconoscimento ed identificazione con l'EZLN, si è pronunciato
per avanzare nella "pedagogia dell'emancipazione" come percorso per i
movimenti del presente e del futuro. Ha inoltre affermato che "la dignità
non è negoziabile", alludendo all'esperienza zapatista.

 

In riferimento ai contenuti del festival, il comandante
David ha dichiarato: "Ascoltandovi, ci è chiaro quello che sta
succedendo in altre parti, e si vede che non c'è molta differenza con quello
che succede qui". Le persone e i movimenti riuniti nell'Università della
Terra, ha aggiunto, "desiderano fare qualcosa" ed ora "sappiamo
che un'altra politica, un'altra strada, un'altra cultura, un altro tutto è
possibile".

 

Al festival questo è stato il giorno della terra. Nel suo
significato più ampio: il suolo che calpestiamo. Chiaro, si dirà, oggi hanno
parlato principalmente indigeni e contadini; oppure intellettuali legati alla
"sporca terra", come John Berger. Quella dove "tutti
vivono", come ha detto questa mattina il tenente colonello Moisés.
Ma non solo per questo.

 

In un trepidante messaggio, il Movimento di Lavoratori Sin
Tierra (MST) del Brasile ha esortato a difendere la terra, l'acqua, i semi.
Dando una svolta tipicamente zapatista, Moisés ha spiegato che per gli
indigeni del Chiapas la campagna è solo una parte della terra, e così le città,
gli ospedali. Ed invitò a pensare "a che cosa serve tutto quello che si
costruisce sopra la nostra madre Terra".

 

Il senso di urgenza del festival (presente negli interventi
precedenti sull'America Latina, a partire da quelli dei movimenti, che degli
analisti, dirigenti sociali ed artisti) questo lunedì ha assunto il suo profilo
definitivo: la lotta è per il mondo e l'umanità, non in maniera declaratoria,
bensì letterale. Per la Terra.

 

Tra le altre cose, il MST ha denunciato che il Messico è
"il laboratorio del capitalismo", dove si sperimentano le politiche
che poi si cercano di estendere ad altri paesi. Da Sao Paulo, in accordo con i
suoi compagni di tavolo e di lotta, il dirigente Joao Pedro Stadile ha affermato
che i principali nemici dei popoli sono le multinazionali, i loro organismi
finanziari e commerciali, i gruppi di governo dei paesi ricchi.

 

Il MST ha auspicato "lotte di massa" contro quei
nemici che vogliono tutto. "Ognuno avrà le sue tattiche da usare contro di
loro, sicuramente anche in Messico". Sono tempi, ha detto, "in cui
bisogna continuare a seminare: la rabbia, l'indignazione, la speranza e l'unità
latinoamericana". Non è ancora tempo "di raccogliere".

 

Parole più, parole meno, hanno sostenuto la stessa cosa
Carlos Marentes, del Sindacato Agricolo di Frontiera "dell'altro
lato" (nella "zona zero della migrazione mondiale"); Alberto
Gómez, di Vía Campesina in Messico; Dolores Sales, rappresentante mam del
Coordinamento Nazionale Indigeno e Contadino del Guatemala, e Juan Chávez,
rappresentante purépecha del Congresso Nazionale Indigeno.

 

Le loro testimonianze e le informazioni, una sorta di summa
del pianeta realmente esistente, sono state impressionanti. E stimolanti nella
loro semplicità. América Millaray Painemal Morales, mapuche dell'Associazione
Nazionale delle Donne Rurali ed Indigene del Cile, e Juan Chávez hanno portato
dei semi. La prima come offerta simbolica; il secondo come dichiarazione di
principio. Hanno dimostrato che un seme dice più di mille parole.

 

Tutti i problemi sono urgenti nell'attuale congiuntura
storica. Nel festival convocato dall'EZLN sono stati affrontati inevitabilmente
molti temi, perché oggi tutto è simultaneo: rischiano i semi, l'aria, il clima,
la libertà, l'alimentazione, la natura, la dignità delle persone, la vita
stessa. Ci sono crisi economica globale, guerre di conquista, stati
agonizzanti. C'è bisogno di "un'altra politica" per fermare il
disastro.

 

Sabato, il pensatore svizzero-messicano Jean Robert aveva
espresso qui una convinzione: "La plausibilità di un altro presente passa
per la difesa del territorio". Il capitalismo è un "grande deterritorializzatore",
ha detto. Le resistenze risultano, inevitabilmente, riappropriazioni e
riscoperte della "realtà territoriale". Pertanto, i movimenti e le
lotte non stanno più nelle idee, ma sul terreno.

 

"Quello che facciamo sopra la madre Terra deve essere a
beneficio di tutte e tutti noi", ha detto il tenente colonello Moisés.
Per questo "dobbiamo pensare noi popoli indigeni e non indigeni come
convivere sulla terra senza sfruttamento". Ed organizzarsi, perché senza
questo "non si può fare niente".

 

Ed ha raccontato, con lampante semplicità, a mo' di
"esempio", come il conferimento di terre ejidali a dei "proprietari"
intrapreso nel paese è stato la via al saccheggio. Ha citato "l'odioso
Salinas" che ha ingannato i contadini con la sua controriforma agraria
contro quelli che sarebbero "i veri padroni". Da lì le banche,
l'ipoteca, la perdita delle terre. È lì dove la resistenza autonoma ha senso,
perché non è caduta nella trappola. I comuneros ed ejidatarios zapatisti
non hanno visto i loro figli rubare i documenti per venderli e pagarsi il
viaggio verso il sogno americano, come in molte parti.

 

La resistenza per la vita è nella terra, dovunque essa sia.

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)




      
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