[Ezln-it] Jaime Martjnez Veloz L’EZLN E LA POLITICA SOCIALE
Annamaria
maribel_1994 at yahoo.it
Sun Feb 1 12:36:27 CET 2009
La Jornada –
Sabato 31 gennaio 2009
Jaime Martínez Veloz
L’EZLN E LA
POLITICA SOCIALE
Le attività realizzate dall'EZLN per commemorare i 15 anni
dell'insurrezione armata sono state una verifica di quanto conquistato e di
quanto ancora c'è da fare. Nello stesso tempo sono state uno spazio per aprire
il dibattito su temi di portata nazionale.
Con precisione, il comandante David ha segnalato: "Il
malgoverno ha tentato di convincere e comprare la coscienza delle nostre basi
di appoggio promettendo loro migliori condizioni di vita per dimenticare i loro
morti e le loro giuste richieste. Purtroppo ci sono fratelli indigeni che sono
caduti nelle trappole del malgoverno credendo di migliorare le loro condizioni
di vita senza lottare".
La Sedeso ha risposto che "i programmi per la lotta
alla povertà non fanno parte dei piani di contrainsurgencia sociale" e che
"dall'anno 2000 c'è stato l'impegno del governo federale per risarcire i
danni derivati dall'oblio, dall'emarginazione e dall'esclusione in cui si
tenevano le comunità indigene del Chiapas". Sono documentati decine di
esempi in cui enti federali hanno realizzato azioni che non hanno risolto i
problemi strutturali derivati dalla povertà, ma hanno invece contribuito alla
frattura del tessuto sociale comunitario.
L'utilizzo delle risorse governative per la cooptazione ed
il clientelismo è la costante della maggioranza dei governi, a tutti i livelli
e di tutti i partiti. La politica sociale si è ridotta a forme selvagge di
assistenzialismo grossolano e sono scarsi i programmi sociali che promuovono
l'organizzazione ed il lavoro comunitario. Per questo la critica dell'EZLN ha
una connotazione che trascende anche lo zapatismo, e la realtà è sotto gli
occhi di tutti. Gli indici di sviluppo umano nel paese non sono sostanzialmente
cambiati ed ogni giorno sono sempre di più i messicani che sprofondano nella
povertà. Quello che dicono sia politica sociale, non riesce ad assistere i
poveri che genera la politica economica.
Per ignoranza o per convinzione, esiste il rifiuto tra gli
apparati governativi a concedere potere alle comunità. Si è optato per
l’elargizione invece dell'organizzazione, la formazione, la produttività ed il
lavoro comunitario. La pianificazione regionale o locale è un'entelechia. Si fa
quello che sembra meglio all'autorità di turno. A volte l'azzeccano, ma più
spesso si diluisce l'impatto sociale o l'efficacia del lavoro governativo.
Per questo la politica sociale intesa come la politica di
Stato, deve trascendere l'ambito temporale e funzionale dell'amministrazione
pubblica, coinvolgendo gli altri livelli di governo, i partiti, le
organizzazioni sociali e l'insieme della società.
Davanti alla sfida della povertà, la disuguaglianza ed il
deterioramento delle condizioni di vita della cittadinanza che minacciano il
nostro futuro, è necessaria una politica sociale di lungo respiro.
La politica sociale può contribuire ad ottenere una nuova
governabilità che sbarri il passo alla violenza come linguaggio politico; allo
scetticismo come atteggiamento della società di fronte alle istituzioni; al
pettegolezzo come agente corrosivo della coesione e del rispetto sociale.
Nessun sforzo in materia di politica sociale ha futuro se
non è volto a modificare le tendenze attuali che assegnano ad una piccola
percentuale della popolazione una grande quantità della ricchezza, mentre
un'enorme massa di cittadini affronta povertà, disoccupazione, bassi salari,
abitazioni inadeguate, insufficienti servizi urbani, bassi livelli di
istruzione e crescenti deficienze in materia di salute ed alimentazione.
Nella misura in cui la società potrà contare sulla dovuta
attenzione alle sue istanze ed i suoi bisogni saranno risolti, l'autorità avrà
maggiori margini di governabilità per il compimento della sua missione.
L'intera politica sociale deve partire dal fatto tangibile
che la lotta alla povertà è solo un aspetto dell'azione dello Stato, e che deve
incidere sul cambiamento dell'attuale distribuzione della ricchezza e, di
conseguenza, in aspetti come posti di lavoro, salario e sviluppo regionale.
A questo rispetto, maggiori livelli di partecipazione e
vigilanza sociale, in un clima di piena democrazia, aiuterebbero a raggiungere
una politica sociale più efficiente. Gli errori od omissioni in materia
sociale, così come in politica ed economia, colpiscono i migliaia che aspettano
una risposta alla loro situazione.
Trasformare la politica sociale in un compito di Stato
richiede democratizzare la sua concezione ed applicazione, convocare a
discutere ampie e plurali forze politiche e sociali affinché cooperino nella
sua attuazione, valutazione e correzione. Quanto detto implica generare nuove
forme di articolazione tra la società ed il governo, che spingano
l'organizzazione e la partecipazione comunitaria e generino migliori livelli di
convivenza civica.
Molto di quanto qui esposto ha a che vedere col rifiuto
dello Stato messicano di rispettare quanto concordato a San Andrés, in quanto a
"riconoscere le comunità come entità di interesse pubblico", in base
ai quali i cittadini smetterebbero di essere "oggetto" e si
trasformerebbero in individui delle politiche pubbliche.
Per questo il comandante David, dalla trincea zapatista, ha
aperto un tema che richiede un atteggiamento trattamento strutturale da parte
dello Stato messicano che trascenda la congiuntura e definisca nuovi modi di
relazione tra il governo e la società, includendo, ovviamente, lo zapatismo.
(Traduzione “Maribel” Bergamo)
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