[Ezln-it] Fw: [UnionePlurale] Calderón marcia contro la storia.

nadiadarco nadiadarco at alice.it
Mon Jun 9 17:24:34 CEST 2008


----- Original Message ----- 
From: michele lastilla 
To: unioneplurale 
Sent: Monday, June 09, 2008 5:04 PM
Subject: [UnionePlurale] Calderón marcia contro la storia.


il manifesto
ORO NERO.
Luis Hernández Navarro.
Il presidente dell'Ecuador Rafael Correa, in visita in Messico, ha detto al 
suo omologo messicano Felipe Calderón: «Essere di destra ormai è passato di 
moda in America latina».
La battuta non è una frase d'occasione.
In effetti, c'è stata una svolta importante nell'orientamento politico dei 
governi della regione.
Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Uruguay, Brasile e Argentina 
mostrano che i venti soffiano a sinistra.
La vittoria del vescovo Fernando Lugo il 20 aprile in Paraguay, che ha messo 
fine a più di 60 anni di dominio del Partido Colorado, conferma la tendenza.
Naturalmente si può discutere sul senso e la profondità delle trasformazioni 
politiche e sociali intraprese da questa sinistra e la sua relazione con i 
movimenti popolari, che in molti casi sono all'origine delle sue vittorie 
elettorali.
E' innegabile però che quasi tutti questi governi hanno fatto marcia 
indietro o frenato le privatizzazioni rapaci che negli anni '90 presero 
d'assalto i beni naturali e i servizi pubblici.
Oggi, si sta riaffermando la sovranità nazionale sulle risorse naturali.
Con il nuovo secolo, uno degli elementi centrali delle nuove politiche di 
questi governi è stato quello di rinegoziare i contratti firmati da governi 
di destra con le compagnie petrolifere multinazionali.
Con l'espansione dello sfruttamento del gas e i prezzi dell'oro nero in 
salita, gli stati hanno deciso di cambiare le regole del gioco.
Il prezzo del petrolio è raddoppiato negli ultimi tre anni.
Trent'anni fa il nazionalismo petrolifero toccò il suo zenit in seguito allo 
shock petrolifero del 1973. Negli '80 cominciò il suo declino.
Da otto anni a questa parte è risorto.
I governi con economie basate sugli idrocarburi hanno ampliato il controllo 
sulla produzione e lo sfruttamento del gas e del petrolio.
La sfiducia nelle grandi potenze, l'importanza del petrolio fra le voci in 
entrata, l'insoddisfazione per i risultati delle grandi compagnie e gli 
sfavorevoli contratti con esse sono alcune delle cause che spiegano la nuova 
direzione verso cui si muove l'interventismo statale nel settore.
Il petrolio è uno strumento formidabile per raggiungere l'indipendenza 
economica o, al contrario, per approfondire la dipendenza dalle metropoli.
L'ondata di nazionalizzazioni degli anni '70 lasciò come saldo una serie di 
grandi compagnie petrolifere nazionali di proprietà degli stati, oltre a 
quelle già esistenti, come la messicana Pemex: in Arabia saudita, Iran, 
Iraq, Kuwait, Abu Dhabi, Emirati arabi uniti, Venezuela.
Il nuovo interventismo statale nel petrolio e nel gas ha consentito a vari 
paesi un arricchimento delle arche pubbliche.
La limitata nazionalizzazione degli idrocarburi in Bolivia con Evo Morales 
ha permesso che la parte del pil controllata dallo stato sia passata dal 6 
al 19%. Con l'obiettivo di portarla al 30%.
Ma il nazionalismo petrolifero nelle sue diverse varianti non è esclusivo 
dell'America latina.
Il governo laburista inglese ha aumentato il carico fiscale per le compagnie 
che producono gas o petrolio nel Regno unito al 50%. E la Russia gioca un 
ruolo preponderante in quest'ondata.
Putin ha incrementato la partecipazione del settore pubblico negli 
idrocarburi, senza chiudere la porta agli investimenti privati, sia russi 
che stranieri.
Il malessere verso le grandi imprese private si sente anche in altri paesi.
E' il caso dell'Algeria con Repsol e del Kazakistan con l'Eni.
I governi di questi paesi sono arrivati ad esigere una modifica o un 
annullamento dei contratti.
Malgrado tutto ciò, la recente iniziativa di riforma del settore energetico 
del governo Calderón va in direzione contraria al cammino intrapreso dai 
governi latino-americani e dalla maggioranza dei paesi petroliferi.
Lo fa quando il prezzo del barile di petrolio tocca quasi i 140 dollari e 
quando il Fondo monetario internazionale prevede che nel 2009 calerà di 
appena un dollaro.
E' un'iniziativa che arriva quando il tempo per coprirla con il manto della 
legittimità è scaduto.
Cammina contro la storia recente del settore.
Il governo Calderón non sembra rendersi conto che il resto delle nazioni 
marcia in senso contrario proprio perché la rotta che lui ha scelto si è già 
rivelata un fallimento.
©il manifesto/La Jornada



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