[Ezln-it] MESSICO FERITO di CLAUDIO ALBERTANI

Renza renza at ipsnet.it
Fri Feb 8 17:41:37 CET 2008


 Messico ferito
 

Claudio Albertani

 

Il Messico è ferito. È vero che nella sfortunata geografia della sofferenza 
ci sono paesi che stanno molto peggio, ad esempio l'Iraq o la Palestina. 
Tuttavia, in Medio Oriente e altrove ciò che predomina è il fragore delle 
armi. Ricordo l'inutile sforzo che feci alcuni anni fa di spiegare la 
ribellione indigena del Chiapas a dei rifugiati pachistani che avevo 
conosciuto in Europa. Io parlavo di quanto innovatore fosse il messaggio 
zapatista, del ruolo delle donne insorte, dei progetti di autonomia 
territoriale
 Nulla di tutto ciò pareva loro importante. Le domande 
erano: "quanti kalashnikov hanno? Quante granate di frammentazione? Mine 
antiuomo?" Secondo i miei interlocutori, l'unica cosa importante era la 
capacità offensiva che potevano esibire gli insorti.

L'aneddoto aiuta a capire la tragedia del Messico ed, al tempo stesso, la 
forza della sua gente. Qui, nonostante condizioni assai difficili e 
preoccupanti livelli di repressione, i movimenti sociali sono, in gran 
parte, pacifici. La violenza si trova da una sola parte – quella del 
governo – e, come ebbe a dire Gandhi, la violenza è la risorsa dei deboli.

Ecco il primo dato. È difficile afferrare il perché dell'enorme sproporzione 
tra violenza ufficiale e domande sociali. A Oaxaca, i 23 morti confermati 
tra giugno e dicembre 2006 (più un numero ancora imprecisato di 
desaparecidos) sono da una sola parte, quella dei cittadini che protestano. 
I 45 martiri di Acteal (dicembre 1997) non erano pericolosi terroristi, 
bensì gente pacifica, in maggioranza donne (di cui alcune incinta), bambini 
ed anziani intenti a pregare.

Le donne violentate, gli adolescenti picchiati e le due giovani vite 
stroncate a San Salvador Atenco (maggio 2006) non rappresentavano una 
minaccia per la sicurezza nazionale. Tuttavia, è stato applicato loro lo 
stesso trattamento sadico che abbiamo visto nei documentari su Abu Grahib.

Il dottor Guillermo Selvas e sua figlia Mariana, rilasciati qualche giorno 
fa dal carcere statale Molino de Flores, non sono pericolosi fanatici 
disposti ad uccidere, bensì persone che prestavano aiuto medico ad Atenco e 
per questa tremenda colpa hanno passato un anno, otto mesi e quindici giorni 
in prigione. Con che accusa? Nessuna, visto che sono usciti scagionati da 
ogni colpa.

"In Messico non vi é uno stato di diritto, bensì due", dice Mariana. "Uno è 
per i poveri, l'altro per i ricchi. Le carceri sono piene di persone che 
lottano per dare da mangiare alle loro famiglie".

Héctor Galindo Ochoa è un giovane avvocato, consulente giuridico del Fronte 
dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT), organizzazione contadina che nel 
2002 vinse una battaglia per impedire l'espropriazione di terre fertili ed 
irrigate al prezzo di 7 pesos al metro quadro per costruire un aeroporto. 
Insieme con Ignacio del Valle Medina e Felipe Álvarez Hernández, Héctor 
sconta una condanna di sessantasette anni e sei mesi in una prigione 
federale di massima sicurezza con l'accusa (fabbricata) di sequestro 
equiparato, il che equivale a una sentenza di morte.

Fa male il reclamo di Magdalena García Durán, una rispettabile signora 
dell'etnia mazahua, che è rimasta detenuta un anno, sei mesi e cinque 
giorni, solo per essersi trovata al momento sbagliato nel luogo 
sbagliato. "Dov'è il diritto? È giusto che mi abbiano incarcerata senza che 
io sappia di che cosa mi si accusa?".

Parole terribili nella loro schiettezza. Parole che riassumono la condizione 
dei popoli autoctoni, la cui sensibilità e creatività furono ammirate da 
scrittori del calibro di Benjamín Peret, il grande poeta surrealista: "in 
Messico – scrisse molti anni fa – chiunque, per quanto umile, possiede un 
senso artistico che ha solo bisogno di condizioni favorevoli per 
svilupparsi. L'amore per i fiori che si può osservare sulle porte e finestre 
delle abitazioni più umili ne è la manifestazione elementare ed evidente. Se 
il senso artistico non fosse così diffuso, non si spiegherebbe l'inaudita 
ricchezza e varietà di un'arte popolare che meraviglia anche il visitante 
più distratto di qualsiasi mercato messicano".

Nel Messico di inizio millennio, a quanto pare,  l'amore per i fiori è un 
delitto imperdonabile. Infatti, la strage di Atenco si deve alla solidarietà 
che alcuni militanti del FPDT espressero precisamente ad alcuni venditori di 
fiori ingiustamente sgomberati a Texcoco.

 

"La legge più che garantire diritti serve per negoziare privilegi", spiega 
Frnacisco López Bárcenas, avvocato mixteco, difensore giuridico di San Pedro 
Yosotato (Oaxaca), una comunità che da anni lotta per la conservazione dei 
propri diritti agrari e in cui su tutti i capifamiglia (così come sullo 
stesso López Bárcenas) pendono mandati di cattura. A Yosotato l'ultimo 
omicidio risale a poco più di un mese fa. Il 24 dicembre 2007, Plácido López 
Castro, leader indigeno e figlio del Signor Marcial Salvador López Castro, 
assessore ai lavori pubblici, è stato giustiziato da tre persone armate.

Chiapas, Atenco, Oaxaca: tre ferite aperte. Però non è tutto. Ci sono anche 
i 155 desaparecidos degli ultimi quindici anni; le centinaia di donne 
massacrate a Juárez (e in altre zone) per il delitto di essere povere 
lavoratrici. C'è il ritorno della guerra sporca con il sequestro (da parte 
delle forze dell'ordine) e la successiva scomparsa di due militanti 
dell'EPR. Ci sono gli arresti illegali che – secondo il Foro Detenute 
politiche e sistema di giustizia penale, organizzato il 24 gennaio da 
studenti dell'Università statale (UNAM) e della Scuola Nazionale di 
Antropologia e Storia (ENAH) – dagli inizi degli anni '90 alla fine 
dell'anno scorso, sono state secondo calcoli conservatori almeno 1.718, di 
cui 1.480 sono stati già rilasciati e 238 sono ancora in prigione. E ci sono 
i 267 attivisti sociali detenuti dall'inizio del governo di Calderón (in 
quello di Vicente Fox ve ne furono 614).

Questa è la realtà che analizza la Commissione Civile Internazionale per 
l'Osservazione dei Diritti Umani (CCIODH) durante la sua sesta visita al 
paese. Nata in Europa poco dopo la strage di Acteal, quest'organizzazione 
lotta da dieci anni contro l'impunità e la violenza ufficiale. È composta da 
specialisti di diverse discipline e si è guadagnata un solido prestigio che 
il governo non si azzarda più a mettere in discussione.

"Una visita molto opportuna", spiega il padre Miguel Concha, veterano 
difensore dei diritti umani e presidente del Centro dei Diritti Umani Fray 
Francisco de Vitoria. "Una visita – continua – che ha luogo in un momento 
cruciale. L'esercito pattuglia le strade, i gruppi paramilitari continuano 
ad essere attivi in Chiapas e in altre parti. Il governo induce la violenza 
intercomunitaria, insabbiando conflitti agrari. Abbiamo alle porte una 
riforma giudiziaria che, se sarà approvata, criminalizzerà ulteriormente la 
protesta sociale, legalizzando le perquisizioni senza autorizzazioni 
giudiziarie e calpestando la libertà d'espressione e di associazione".

Sì, il Messico è ferito. "La violenza governativa è così comune che non 
viene più nemmeno registrata. L'apatia e il mal governo sono formule magiche 
perché tutto continui ad essere uguale", afferma il dottor Selvas. Speriamo 
che la visita della CCIODH aiuti a rompere il circolo vizioso.







México duele

 

Claudio Albertani 

 

 

México duele. Es verdad que en la desdichada geografía del sufrimiento hay 
países que están muchísimo peor: Irak, por ejemplo, o Palestina. Sin 
embargo, en Medio Oriente y en otras partes lo que predomina es el trueno de 
las armas. Recuerdo un intento que hice, hace algunos años, de explicar la 
rebelión indígena de Chiapas a unos refugiados pakistaníes que conocí en 
Europa. Yo hablaba de lo novedoso del mensaje zapatista, del papel de las 
mujeres alzadas, de los proyectos autonómicos
 Nada de esto les pareció 
pertinente. Sus preguntas eran: "¿con cuántos kalashnikov cuentan? 
 ¿tienen 
granadas de fragmentación? 
 ¿minas antihombre?" Según mis interlocutores, 
lo único importante era la capacidad ofensiva que, en su caso, podrían 
desplegar los insurrectos chiapanecos. 

Esa anécdota ayuda a entender la tragedia de México, pero también la fuerza 
de su gente. Aquí, a pesar de condiciones sumamente difíciles y preocupantes 
niveles de represión gubernamental, los movimientos sociales son, en gran 
parte, pacíficos. La violencia se halla de una parte sola - la del gobierno -
 y como bien lo explicó Gandhi, la violencia es el recurso de los débiles.   

Este es el primer dato que impresiona al visitante. Cuesta entender el por 
qué de la enorme desproporción entre la violencia oficial y las demandas 
sociales. En Oaxaca, los 23 muertos comprobados entre junio y diciembre de 
2006 (más un número todavía indeterminado de desaparecidos) están de una 
parte sola, la de los ciudadanos inconformes. Los 45 mártires de Acteal 
(diciembre de 1997) no eran peligrosos terroristas, sino gente pacífica, en 
gran parte mujeres (algunas embarazadas), niños y ancianos que se 
encontraban de rodillas rezando en una ermita. 

Las mujeres vejadas, los adolescentes vapuleados y las dos jóvenes vidas 
segadas en San Salvador Atenco (mayo de 2006) no representaban una amenaza 
para la seguridad nacional. Y sin embargo se les aplicó el mismo trato 
sádico que hemos visto en documentales sobre Abu Grahib. 

El doctor Guillermo Selvas y su hija Mariana, recién liberados del penal 
estatal Molino de Flores, no son peligrosos fanáticos dispuestos a matar, 
sino personas que prestaban ayuda médica en Atenco y por esta culpa tremenda 
purgaron un año, ocho meses y quince días de prisión. ¿Bajo qué cargo? 
Ninguno, pues salieron libres de toda imputación. 

"En México hay varios estados de derecho, opina Mariana. Uno es para los 
pobres y otro para los ricos. Las cárceles están llenas de personas que 
luchan para darles de comer a sus familias".

Héctor Galindo Ochoa es un joven abogado, asesor jurídico del Frente de 
Pueblos en Defensa de la Tierra (FPDT), organización campesina que en 2002 
ganó una batalla para impedir la expropiación de tierras fértiles al precio 
de $7.00 por metro cuadrado con el fin de construir un aeropuerto. Junto a 
Ignacio del Valle Medina, y Felipe Álvarez Hernández purga una condena de 67 
(sesenta y siete) años y seis meses en un Penal Federal de Máxima Seguridad 
por el delito (fabricado) de secuestro equiparado, lo que equivale a una 
sentencia de muerte. 

Duele la pregunta de Magdalena García Durán, indígena mazahua, presa un año, 
seis meses y cinco días, por haber estado en el lugar equivocado, en el 
momento equivocado. "¿Dónde está el derecho? ¿Es justo estar presa sin saber 
de qué se me acusa?" 

Palabras terribles en su desnudez. Palabras que resumen la condición de los 
pueblos originarios, cuya sensibilidad y creatividad admiraron poetas de la 
talla de Benjamín Peret: "en México – escribió - cualquier hombre, por 
humilde que sea su condición, encierra un sentido artístico que sólo pide 
condiciones favorables para desarrollarse. Su amor por las flores –que puede 
verse en la puerta o en la ventana de la más miserable casucha- es la 
manifestación elemental y más obvia de este sentido. Por lo demás, si el 
sentido artístico no estuviera tan generalizado, no podría explicarse el 
magnífico florecimiento de un arte popular de inaudita variedad y riqueza 
que maravilla al visitante más distraído de cualquier trivial mercado 
mexicano". 

En el México de principio de milenio, el amor por las flores es un delito 
imperdonable, pues la masacre de Atenco tiene en su origen la solidaridad 
que integrantes del FPDT expresaron precisamente a unos vendedores de flores 
injustamente desalojados en Texcoco.

"La ley más que para proteger derechos sirve para negociar privilegios", 
explica Francisco López Bárcenas, abogado mixteco, defensor jurídico de San 
Pedro Yosotato, Oaxaca, una comunidad que, desde hace años, lucha por la 
preservación de sus derechos agrarios y donde todos los padres de familia 
(además del propio López Bárcenas) cuentan con orden de aprensión. En 
Yosotato, el último homicidio tiene poco más de un mes. El 24 de diciembre 
de 2007, Placido López Castro, líder indígena e hijo del Señor Marcial 
Salvador López Castro, presidente de bienes comunales, fue acribillado por 
tres personas armadas.

Chiapas, Atenco, Oaxaca. He aquí tres heridas abiertas. No son las únicas. 
Están, también, los 155 desaparecidos de los último quince años. Están las 
cientos de mujeres masacradas en Juárez (y en otra partes) por el delito de 
ser pobres y trabajadoras. Está el regreso de la guerra sucia con el 
secuestro-desaparición de dos militantes del EPR. Están las detenciones 
ilegales que - según el Foro Presas políticas y sistema de justicia penal, 
organizado el 24 de enero por estudiantes de la UNAM y la Escuela Nacional 
de Antropología e Historia - de inicios de los 90 a finales del año 
pasado, "en números conservadores", fueron 1,718, de los cuales 1,480 ya 
fueron liberados y 238 aún permanecen en prisión. Y están los 267 luchadores 
sociales encarcelados desde el principio del régimen de Calderón (en el de 
Vicente Fox fueron 614). 

Esta es la realidad que enfrenta la Comisión Civil Internacional por la 
Observación de los Derechos Humanos (CCIODH) en su sexta visita al país. 
Nacida en Europa poco después de la masacre de Acteal, esta organización 
lleva diez años luchando contra la impunidad y la violencia oficial. Está 
integrada por especialistas en diferentes disciplinas y se ha ganado a pulso 
un prestigio que el gobierno ya no se atreve a cuestionar.

"Una visita muy oportuna, explica el padre Miguel Concha, veterano defensor 
de lo derechos humanos. Una visita – sigue el también presidente del Centro 
de Derechos Humanos Fray Francisco de Vitoria - que se da en un momento 
crucial. El ejército patrulla las calles, los grupos paramilitares siguen 
activos en Chiapas y en otros lados. El gobierno fomenta la violencia 
intercomunitaria solapando conflictos agrarios. Tenemos en la puerta una 
reforma judicial que, si se aprueba, va a criminalizar todavía más la 
protesta social pues legaliza los allanamientos sin orden jurídico y 
conculca la libertad de expresión y asociación".

Sí México duele. "La violencia gubernamental es tan común que ya pasa 
desapercibida. La apatía y el mal gobierno son fórmulas mágicas para que 
todo siga igual", precisa el doctor Selvas. Ojalá y la visita de la CCIODH 
ayude a romper ese círculo vicioso.

 

México, DF, 30 de enero de 2008

 



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