[Ezln-it] Nel '97 la contrainsurgencia aborti' la pace - Reportage Acteal - Quarta Parte

Annamaria Pontoglio maribel_1994 at yahoo.it
Thu Nov 8 16:14:02 CET 2007


La Jornada – Giovedì 8 novembre 2007
   
   
  * La marcia dei 1.111 frenò momentaneamente la violenza; mancava agosto
   
  Nel ‘97 la contrainsurgencia abortì la pace a Chenalhó
   
  HERMANN BELLINGHAUSEN / Quarta Parte
   
  A metà giugno del 1997 Chenalhó è ormai uno scenario di contrainsurgencia attiva. L'assegnazione di aiuti ufficiali, che affluiscono in abbondanza, sta detonando conflitti comunitari. Come in altre comunità, a Saclum e Matzeclum si minaccia di espellere le famiglie dei due municipi autonomi che comprendono Chenalhó: Polhó e Magdalenas La Paz.  
   
  Nel capoluogo di San Pedro Chenalhó, un priista di nome Mariano (chiese l'anonimato), abitante di Saclum, dichiarò: "Ci dissero che avrebbero distribuito il denaro a condizione che lo chiedessero tutti i componenti della comunità. Dicemmo loro che gli zapatisti non avrebbero accettato, e ci ripeterono che dovevano essere 'tutti'. Allora domandammo che cosa dovevamo fare se non accettavano, e ci dissero 'cacciateli via o obbligateli a farlo’" (La Jornada, 14 giugno*).
   
  "Abbiamo delle divergenze, sì, ma da tre anni viviamo insieme, da quando è iniziato il problema degli zapatisti e solo ora, con l'obbligo dettato da un programma del governo ci obbligano a litigare", aggiungeva l'uomo di Saclum, comunità ubicata ad ovest del municipio, all'estremo opposto della zona dove alla fine "attecchì" la paramilitarizzazione e nel cui cuore geografico si trova Acteal. Il sindaco Jacinto Arias Cruz aveva chiesto, a nome di "tutto il municipio", la presenza della polizia. Mariano disse a La Jornada che, almeno a Saclum, non era così. "Non vogliamo avere problemi tra fratelli".
   
  Qui non succede niente
   
  Quel giorno a Chenalhó si trovava a fare proselitismo il senatore priista Sami David (perché si avvicinavano le elezioni dei deputati federali), in un clima di "qui non succede niente". Poco prima, il segretario di Sviluppo Sociale, Carlos Rojas, di passaggio in Chiapas, aveva assicurato che l'investimento sociale non era indirizzato alla contrainsurgencia. Visitava l'entità, per la seconda volta in 15 giorni, anche il segretario della Difesa Nazionale, Enrique Cervantes Aguirre (13 e 14 giugno).  
   
  In quel momento il numero minimo di profughi zapatisti e simpatizzanti era già calcolato intorno ai 1.200 (solo di Yaxjemel e Yabteclum erano 534 e 527, rispettivamente). A Polhó, il consiglio autonomo ricordava che prima, a Chenalhó, quando c'erano conflitti, "invece di infiammare gli animi" si placavano negoziando (16 giugno). Le cose cambiarono nel giro di un anno, quando si dimise il sindaco ufficiale Manuel Arias Pérez e fu sostituito dal suo segretario Jacinto Arias Cruz. Adesso, "è lui a rovinare, insistere in che ci sia scontro".
   
  La caduta del consigliere comunale eletto avvenne in seguito al primo crimine contro zapatisti, quando la notte dal 19 al 20 agosto 1996 una turba di priisti ubriachi "catturò" sei giovani zapatisti in una pensione del capoluogo municipale, li linciò e lanciò i loro corpi nella scarpata di Chixiltón. Ci furono tre arresti per gli omicidi che furono rilasciati dopo breve tempo. Anche allora si dimise, "per motivi personali", il segretario statale dell'Assistenza ai Popoli Indios, il noto scrittore Jacinto Arias Pérez (omonimo del nuovo sindaco priista e cugino del precedente). Non era d'accordo con quanto accadeva e preferì uscire di scena (Supplemento Masiosare, 28 dicembre). Qualcosa stava succedendo a San Pedro Chenalhó. Il gruppo filogovernativo dominante era stato soppiantato da gente nuova, più aggressiva e sradicata (come avrebbe documentato più avanti Andrés Aubry ed Angélica Inda su La Jornada).  
   
  A Yabteclum si saccheggiavano le case dei profughi zapatisti. Il consiglio di Polhó riferì il caso di Felipe Gómez Gómez, priista, che invece di partecipare ad un attacco contro i simpatizzanti dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) "rimase a dormire" a casa sua. "Diede coraggio a quelli del PRI perché non obbedissero. Gli distrussero la casa lo incarcerarono a Chenalhó. E questo, ad uno di loro" (17 giugno). Le spiegazioni ufficiali del conflitto per "fondamentalismo religioso" mascheravano la realtà.
   
  Pressioni contro Las Abejas 
   
  Intanto, Las Abejas denunciavano che i priisti li "pressavano" per votare per il partito ufficiale. In diverse riunioni pretendevano di obbligarli "a tirare fuori le loro credenziali" e tornare al PRI. Yabteclum, il "villaggio vecchio" del municipio, punto di incontro tra autonomi e priisti, fu divorato dalla marea contrainsurgente dopo l'espulsione di mezzo migliaio di zapatisti (18 giugno).
   
  La militarizzazione cresceva ad Ocosingo ed Altamirano, con l'arrivo di altri 3 mila soldati (19 giugno) e la "guerra" del gruppo paramilitare Paz y Justicia cresceva nuovamente a Tila e Sabanilla; ad Emiliano Zapata e Shushupá, tra i giorni 22 e 24 furono assassinati otto simpatizzanti zapatisti, e feriti molti altri, dopo che Juan López Jiménez, dirigente di Paz y Justicia, era stato ucciso a Pasijá il giorno 15 (24, 26 e 27 giugno). I simpatizzanti dell'EZLN erano assediati da Paz y Justicia in 14 comunità di Tila e Sabanilla ed era imminente una nuova ondata di profughi.
   
  Il giorno 26 il governo ufficiale di Chenalhó fermò a Yabteclum i simpatizzanti zapatisti Fidencio Ruiz ed Ernesto Gómez, accusandoli della scomparsa di Manuel Takiumut, un mese prima. La cattura avvenne durante una riunione di avvicinamento tra autonomi e priisti. "Stavano per raggiungere un accordo affinché più di mille profughi potessero ritornare" quando avvenne la cattura (27 giugno) e si interruppe il dialogo. Un'altra volta.
   
  Protesta per mancanza di crediti
   
  Un giorno dopo, la società cooperativa di produttori di Bajxulum inviò una lettera al governo federale annunciando che in 21 comunità di Chenalhó i suoi soci non avrebbero votato il 6 luglio, "e tanto meno per il PRI", perché i produttori non avevano ricevuto i crediti offerti e presumevano che "qualcuno aveva preso" al posto loro un milione e mezzo di pesos. Parlarono di "false promesse, inganni e bugie" (28 giugno). Versioni successive avrebbero rivelato che quel denaro fu destinato all'acquisto di armi.
   
  L'EZLN annunciò, a sua volta, che le comunità ribelli non avrebbero votato in segno di protesta contro la militarizzazione, "il clima di guerra promosso dal governo e l'inadempimento degli accordi di San Andrés". Il subcomandante Marcos scrisse in un comunicato: "Con che faccia chiedere alle comunità di votare se non vivono nemmeno in condizioni normali? Si può chiedere loro di dimostrare una normalità cittadina per un giorno e tornare al terrore quotidiano il resto dell'anno?" (3 luglio).
   
  Intanto, rappresentanti di comunità zapatiste di Chenalhó e San Andrés (dentro il municipio autonomo Magdalenas La Paz) chiedevano di cancellare la formazione dei gruppi paramilitari ed il ritiro dell'Esercito federale. Indigeni delle comunità Atzamilhó, Saclum, Xux'chen, San Pedro Cotzinam ed Aldama assicuravano che priisti armati "stanno pianificando ed unendo le loro forze per provocare scontri" (2 luglio).
   
  Ribellione ed astensionismo
   
  Alla vigilia delle elezioni 2 mila zapatisti sfilarono a San Andrés annunciando che avrebbero impedito le elezioni. Fecero una manifestazione contro il governatore Julio César Ruiz Ferro "per mantenere un'ampia campagna di discredito contro l'EZLN" e "distorcere" l'informazione per far scontrare tra loro le comunità (6 luglio). Anche i profughi di Tila, Sabanilla e Tumbalá non erano in condizione di votare.
   
  La domenica 6 luglio, le elezioni federali in Chiapas registrarono il più alto astensionismo del paese; non votò il 65% degli aventi diritto e circa 600 seggi non furono installati. Furono bruciate o ritirate le urne a Chenalhó, San Andrés, Tenejapa, El Bosque, Ocosingo, Altamirano, Las Margaritas, Amatenango del Valle e Pantelhó, ed in molti altri municipi indigeni mancarono i seggi ma, soprattutto, gli elettori. Nella zona nord, Paz y Justicia "controllò" le elezioni affinché votassero solo i priisti. A Yabteclum (Chenalhó) furono espulsi gli osservatori di Alianza Civica e "votarono solo quelli del PRI" (7 luglio).
   
  Aggressione imminente 
   
  Poco dopo, il presidente municipale autonomo di San Andrés, Juan López González, allertò su una possibile aggressione di poliziotti e gruppi paramilitari il cui centro di operazioni era Santiago el Pinar (10 luglio). Nelle strade degli Altos si vedevano scritte come: "Siamo Máscara Roja, se ci vuoi conoscere ci vediamo all'inferno" e "Non siamo più nascosti, arriviamo".
   
  Il giorno dopo la polizia di Pubblica Sicurezza fermò a Santiago el Pinar, dove c'era un accampamento dell'Esercito federale, sette priisti armati (quattro di loro minorenni, con pistole 3.80 e 38 special e cartucce per carabina AK-47 e di altri calibri. Gli arrestati stavano partecipando ad un blocco stradale con altre 40 persone (11 luglio). Questo confermava le reiterate accuse dell'esistenza di gruppi civili armati in San Andrés e Chenalhó, ma non ci fu alcun seguito.
   
  Davanti alla situazione in Chiapas, l'EZLN iniziò una strategia verso l'esterno, per richiamare l'attenzione del paese e del mondo su quanto stava accadendo nelle comunità. Le proteste su scala locale erano ignorate. Il 21 luglio si organizzò un presidio di fronte al palazzo del governo a Tuxtla Gutiérrez, dove circa 300 rappresentanti dei profughi della zona nord erano rimasero 87 giorni a chiedere inutilmente al governatore Ruiz Ferro la sospensione della violenza affinché i profughi potessero ritornare nelle loro comunità.
   
  L'EZLN annunciò che dal 25 luglio al 3 agosto due suoi delegati avrebbero partecipato al secondo Incontro Intercontinentale (Intergalattico) in cinque località dello Stato spagnolo. In agosto, i ribelli annunciarono una marcia di 1.111 basi zapatiste a Città del Messico per settembre, mentre altri due delegati indigeni si sarebbero recati a Venezia e Roma. Queste iniziative civili avrebbero momentaneamente frenato la violenza paramilitare, la quale sarebbe riesplosa brutalmente nella seconda metà di settembre. Ma dovevano ancora venire i lampi di agosto.  
   
  * Tutte le date tra parentesi corrispondono alla pubblicazione degli articoli su La Jornada.
   
   
  (Traduzione Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo)

       
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