[Cyber-rights] ::LA FINE DELL'ANTRPOLOGIA

Casaluce-Geiger casaluce at aon.at
Tue Aug 12 12:20:45 CEST 2008


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a presto synusi@



Lettera aperta per la Facoltà di Scienze della Comunicazione
dell'Università "La Sapienza" di Roma
Massimo Canevacci

  Le nuove scelte didattiche della Facoltà di Scienze della Comunicazione 
dell'Università "La Sapienza" mi impongono di rendere pubbliche alcune 
perplessità, poiché, a fronte di un'indubbia crisi dell'ordinamento triennale, 
si è deciso di ristrutturare l'ordine degli studi secondo una visione della 
comunicazione restaurativa e schiacciata sull'esistente.
In tal modo, la scienza della comunicazione rischia di ridursi a una 
preparazione professionale di taglio giornalistico; le connessioni sperimentali 
e trans-disciplinari con quanto emerge nella comunicazione digitale (estesa tra 
design, architettura, pubblicità, performance, musiche, moda, arte ecc.) spesso 
risultano incomprese, "non controllate" o  neutralizzate in "tecniche"; e 
vengono ignorate, di conseguenza, quelle ricerche che stanno tentando 
modificare paradigmi espositivi, composizioni espressive, narrazioni 
multisequenziali.
Tale tendenziale rinchiudersi della comunicazione dentro un giornalismo 
asfittico e un'apologia dei media impoverisce la Facoltà, trasforma i docenti 
in funzionari dell'"industria culturale", addestra gli studenti alla rinuncia 
all'innovazione e all'assenso disciplinato, chiude alle nuove professionalità 
che attraversano visioni, stili, linguaggi, è indifferente alle prospettive che 
nelle università estere da tempo vengono applicate in questo ambito (si veda il 
ruolo dell'antropologia culturale nei Media Studies in tante università estere 
- MIT, Humboldt Universität,  Escola de Comunicação e Arte). Tutto questo 
rischia di configurare provincialismo disciplinare, endogamia mass-mediale, 
diffidenza dell'emergente, sottrazione delle potenzialità digitali.

La materia che ho insegnato per più 20 anni – Antropologia Culturale, materia 
fondamentale per gli studenti di primo anno  – è stata soppressa, mentre a 
Roma, in Italia e ovunque, sarebbe necessario moltiplicare le ricerche con 
questo orientamento, per contrastare le pericolosissime onde razziste, le 
chiusure localistiche, i decisionismi verticistici, le grettezze mediatiche.
Si è preferito, invece,  puntare su materie "classiche" (diritto e storia), 
eliminando la prima delle tre discipline fondamentali delle scienze sociali 
(antropologia, sociologia, psicologia). Il docente che la insegnava viene 
"esiliato" al terzo anno del corso di laurea di Cooperazione e Sviluppo, con 
una materia denominata Comunicazione Interculturale. Già nel titolo del corso 
si esprime la continuità di un dominio neo-coloniale dell'Occidente verso un 
mondo "altro": che la "cooperazione" sia focalizzata a dare aiuti economici ai 
laureandi e ai rispettivi Paesi di residenza, piuttosto che all'"altro", 
dovrebbe essere ormai evidente; e sulla critica al concetto di "sviluppo" sono 
stati scritti così tanti saggi prima e dopo il '68 che è noioso solo 
ricordarlo. Quindi si crea una materia come Comunicazione Interculturale, che 
fin dal nome rafforza chiusure identitarie e culturali, regressioni 
scientifiche e formative, che purtroppo appaiono in sintonia con quelle 
politiche da "lega romana" adeguate al clima imperante, in cui un cattolicesimo 
appiccicoso cerca di controllare governi e opposizioni, atenei, facoltà, 
docenti.

I riferimenti cui la mia cattedra si è ispirata sono collocati, tra gli altri, 
nel filone antropologico inaugurato da Gregory Bateson: che, a partire dalle 
sue ricerche anticipatrici a Bali, hanno permesso di elaborare il doppio 
vincolo, concetto tra i più straordinari applicato sia alla comunicazione 
"normalmente" psico-patologica che ai mass media nascenti; fino alla sua 
collaborazione con Wiener per le primissime ricerche sulla cibernetica. Anziché 
dedicarsi a santi e madonne, processioni e proverbi – temi troppo spesso 
esclusivi nell'insegnamento di questa materia da noi – la ricerca antropologica 
di Bateson si inserisce nei flussi già all'epoca emergenti di comunicazione, 
tecnologia, alterità.
Infine, questa lettera non rivendica nulla di personale (vado in pensione dal 
prossimo anno e lascio quindi questa Facoltà). Essa esprime un posizionamento 
politico-culturale che individua, nella crisi crescente e apparentemente 
irreversibile della Facoltà di Scienze della Comunicazione, un problema su cui 
indirizzare la riflessione critica nell'interesse di docenti, studenti, 
impiegati: di chiunque viva e respiri l'aria di un'università che cerchi di 
dare senso ai futuri possibili e non si limiti a replicare il peggio dei 
presenti mediatizzati.




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