<br><div class="gmail_quote"><div><div class="h5"><div class="gmail_quote"><div><div><div class="gmail_quote"><div><div></div><div><br><div class="gmail_quote"><br><b>Care/i compagne/i,<br><br>Proprio ieri dopo la firma del preaccordo sulle pensioni, i sindacati concertativi CCOO e UGT firmano un nuovo Patto Globale con Patronal e Governo. I sindacati di classe presenti in Catalunya, Euskadi e Galicia avevano lanciato per il 27 Gennaio (giorno prima della firma del preaccordo sulle pensioni) un nuovo sciopero generale che ha visto nuovamente una fortissima adesione dei lavoratori e numerose manifestazioni nelle diverse città dello Stato (Madrid, Mérida, Granada, Córdoba, stc). La Galicia, dove la maggioranza sindacale è rappresentata dal sindacato di classe CIG (Confederación Intersindical Galega), anche se con numeri non omogenei, ha vissuto una giornata intensa di manifestazioni e picchetti portando in piazza migliaia di lavoratori. <br>
<br>Qui, un link della manifestazione a Vigo: </b><b>Video: <a href="http://www.youtube.com/watch?v=Rn0pVTp5KHY" target="_blank">http://www.youtube.com/watch?v=Rn0pVTp5KHY</a> </b><br><b><br>Vi invio la traduzione di un testo scritto dal Segretario Generale della Negoziazione Collettiva della CIG, apporso in questi giorni su <a href="http://rebelion.org" target="_blank">rebelion.org</a>, che ci permette di comprendere alcuni aspetti della realtà della Galicia e da alcuni spunti interessanti di riflessione sull'evoluzione dei sindacati concertativi e il loro ruolo di "agenti sociali" del sistema, e la necessità, da parte dei sindacati di base e di classe, di rilanciare il lavoro politico sul terreno intellettuale e di politicizzazione della classe lavoratrice per superare la fase di debolezza generalizzata relativamente al rapporto di forza tra le classi. <br>
<br>Saluti comunisti<br>Zeistar, Andalucía. <br><br></b>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">I SINDACATI
DEVONO “PORTARE” LA LOTTA DI CLASSE NEI POSTI DI LAVORO</span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR"> </span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Se
osserviamo con attenzione la recente storia politica dello Stato spagnolo, a
partire dalla stessa natura della Transizione, la cultura dei suoi principali
attori - caratterizzata dalla filosofia dell’”accordo e della conciliazione”;
se osserviamo il consenso che ha permesso, ai partiti istituzionali di sinistra
e ai grandi sindacati, di scommettere sulla solvenza del sistema; allora
potremmo capire perché, i colpevoli - le elite ricche e potenti, i grandi
imprenditori e finanzieri - della crisi economica e sociale acuta che stiamo vivendo,
lungi dal pentirsi, dimostrano al contrario arroganza, con le loro richieste
circa la cancellazione degli attuali diritti. La loro esigenza di demolire i
diritti della classe lavoratrice, le loro risposte circa le prestazioni
pubbliche e di protezione sociale (pensioni, sanità, disoccupazione). Tutto ciò
sicuramente obbedisce a ciò che possiamo chiamare una accumulazione dell’esproprio
nell’attuale modello di liberalismo contemporaneo.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR"> </span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Tutto
questo non sarebbe un elmento che ci dovrebbe far preoccupare eccessivamente se
la nostra risposta intellettuale e di mobilitazione fosse sufficientemente
organizzata, e si trovasse in una fase di relativo equilibrio per quel che
riguarda la relazione di forze tra le classi. </span>Ma è proprio questa la
contraddizione. Fin dalla Transizione si è celebrato, come un rituale e
cerimonia del sistema, una disciplina di conciliazione di classe che ha avuto come
effetto l’attenuazione dello scontro tra Capitale e lavoro. Si inaugurò con i
“Pactos de la Moncloa”, seguita successivamente dai vari AMI, con l’alternanza
e l’accordo, una volta di “Comisiones Obreras” (CCOO) e un’altra della “Union
General de los Trabajadores” (UGT), o di entrambe. Attualmente tutto ciò è
stato codificato nei patti confederali per la negoziazione collettiva.
L’obiettivo e la conseguenza degli stessi è stato quello di creare un accordo
“superstrutturale” tra organizzazioni imprenditoriali e sindacali, un patto
verticale che ha eliminato la partecipazione e il potere di decidere ai
lavoratori. In tutti questi anni, in maniera costante e in forma tacita e
pacificata,si è organizzata e messa in pratica una erosione dei redditi da
lavoro, trasferendo una cuota sempre maggiore di questi verso i redditi da
Capitale.</p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Allo stesso tempo, questa “cultura dell’accordo” ha
provocato una trasformazione nella struttura e nell’organizzazione delle stesse
centrali sindacali, basata sull’incondizionato appoggio al nuovo modello . Attualmente
queste organizzazioni, come la maggioranza dei suoi quadri sindacali, non sono
preparate per organizzarsi e intervenire nel conflitto. La loro vocazione per
il dialogo sociale li ha trasformati in “interlocutori sociali”, in agenti sociali
del sistema. Questa nuova “versione” del sindacalismo gli ha permesso uno
spazio confortevole all’interno del sistema, pieno di mezzi economici e
accompagnato da un appoggio mediatico nel quale i suoi portavoci si trovano
particolarmente comodi e importanti. Una figura che hanno accettato
volontariamente, allo stesso tempo in cui hanno rinunciato di accreditarsi
socialmente come sindacati.</p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Mentre la socialdemocrazia liberale e la destra si
alternavano al governo, i partiti della sinistra istituzionale hanno
abbandonato – nei suoi discorsi e nel loro lavoro politico – il conflitto
sociale in tutti i suoi aspetti e in particolare quello della lotta di classe.
Oggi non è di moda. Le nuove generazioni appartenenti alla classe lavoratrice,
quelle posteriori alla Transizione, non sono capaci di interpretare i conflitti
del sistema attraverso questa base scientifica. Non trovano, in questo modo, né
risposte, né alternative a una logica distruttiva che condanna progressivamente
la maggiorparte della popolazione alla marginalità, alla povertà e al
super-sfruttamento.</p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Il mondo del lavoro in questi ultimi 30 anni ha sperimentato
una erosione brutale dei diritti lavorativi. Le diverse<span> </span>riforme del mercato del lavoro e la riduzione
delle prestazioni pubbliche ha generato un enorme squilibrio e ha lasciato la
classe lavoratrice sfavorita di fronte all’attuale relazione di forza tra le
classi. Allo stesso tempo, oltre l’elemento legislativo, si crea una variazione
a livello strutturale - dalla quale risulteranno particolarmente colpite le
nuove generazioni di lavoratori e lavoratrici - che inizia alla fine degli anni
’70, che conosciamo come terziarizzazione del lavoro e in alcuni casi come
toyotismo. L’attività che fino a quel momento si sviluppava all’interno di una
sola impresa, con condizioni lavorative e salariali uniformi, si riorganizza
attraverso un nuovo modo di subappalto. Per la prima volta nella storia del
capitalismo, lo stesso lavoro sarà retribuito con salari diversi e diversi
diritti. Si produce una stratificazione, sul modello delle caste, all’interno
della classe lavoratrice, stabili o eventuali, dipendenti dall’impresa madre o
della subappaltata e successivamente attraverso le ETT (Empresa de Trabajo
Temporal, NdT). Il Capitale riesce ad imporre le proprie condizioni in uno
scenario ideale di supersfruttamento, con l’obiettivo di trasferire senza sosta
la maggior cuota possibile di reddito da lavoro, a quello da Capitale. Si
produce un cambio storico: per la prima volta le nueve generazioni di
lavoratori hanno meno diritti e peggiori condizioni di quelle anteriori. Tutto
questo avviene nel periodo in cui si impone la “dottrina dell’accordo” e del
dialogo sociale in una simbiosi schizzofrenica. Abbiamo visto i suoi risultati.</p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Questa riforma strutturale attraverso i subappalti non si è
ancora completata, le privatizzazioni dei nodi centrali del settore pubblico
non è ancora terminata, e continuerà avanzando nell’ambito dell’amministrazione
– tanto a livello dello Stato come nelle Comunità Autonome e nei Comuni.</p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Tutte le
riforme del mercato del lavoro approvate in questo periodo seguono lo stesso
percorso e generano indiscutibilmente una maggiore precarietà. Il fatto che
l’aspetto centrale, in ogni caso, è stato quello della diminuzione dei costi
del licenziamento e nuove forme contrattuali, ci mostra un dato empirico: lo
Stato spagnolo è da sempre lo spazio di maggiore precarietà in Europa, e
abbiamo costatato come attraverso la “virtù” del diaologo sociale, il reddito
da lavoro sia cresciuto solo un terzo negli utlimi anni in relazione alla media
europea, mentre i profitti degli imprenditori siano cresciuti il doppio della
media europea (dato della OCDE per il periodo 1999-2009).</span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR"> </span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Per
dissipare qualsiasi dubbio nell’esercizio matematico circa il risultato di espropriazione
del reddito da lavoro e di accumulazione di capitale en questi anni, possiamo
osservare il caso della Galizia attraverso i dati dell’Agenzia Tributaria e
dell’IGE (Instituo Gallego de Estadística). </span>Attualmente, un 1% della
popolazione gallega si accaparra il 25% del PIL. Un altro dato desolante è
rappresentato dall’evoluzione della distribuzone del reddito negli ultimi 30
anni. <span lang="PT-BR">Nel 1980 il reddito da
lavoro rappresentava il 63%, mentre quello da Capitale oscillava sul 24%.
Attualmente, per la prima volta, il reddito da Capitale è maggiore di quello da
lavoro, il che è ancor più grave se osserviamo il fatto che la popolazione
salariata è raddoppiata nello stesso periodo. </span>L’equazione è semplice: il
doppio dei lavoratori, la metà del reddito.</p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Semplifichiamo le cose: stiamo discutendo della
distribuzione della ricchezza, di diritti e giustizia sociale. Le riforme
riguardano il mercato del lavoro, i lavoratori attivi e non, e stiamo prendendo
coscienza che ci stiamo scontrando con un processo che non verrà modificato in
nessun modo. Sappiamo che il capitalismo porta con se la sua logica di
accumulazione, che il capitalismo finanziario è capace di muovere una quantità
di denaro quattro volte superiore a quello del capitalismo produttivo, che è
enormemente concentrato e i suoi dettami e potere arrivano a mettere in
contraddizione la sovranità degli stati. <span lang="PT-BR">Maggiore accumulazione, e quindi maggiore necessità di denaro per
mantenere costante l’accumulazione. Necessariamente il denaro, la ricchezza
reale, non speculativa, esce dal mondo del lavoro. Quindi non hai passi
indietro. Le riforme continueranno.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR"> </span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Sappiamo
che impoverire i lavoratori, rendere meno remunerativo il lavoro,
precarizzarlo, etc. né crea lavoro, né rende più competitiva l’economia, né aiuta
a superare la crisi del consumo. Questo oggi è evidente. In Europa, gli Stati
che vivono una grave crisi per recessione sono quelli che hanno i peggiori
salari, maggiore precarietà, sono quelli dove la spesa pubblica e i servizi
sociali sono minori, e nonostante questo si segue la stessa dottrina politica. La
recente riforma del mercato del lavoro, le misure approvate in questi giorni
per ridurre la pressione fiscale sulle aziende e che lasciano senza nessuna
protezione sociale quelli che invece ne hanno più bisogno (i disoccupati), la
privatizzazione di settori pubblici altamente redditizi per il Capitale,
dimostrano l’oscenità e l’indecenza che pensavamo fosse propria solo della
destra. Le riforme che sono state annunciate (pensioni, disoccupazione e negoziazione
collettiva) approfondiranno l’erosione di diritti e il reddito della classe
lavoratrice.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR"> </span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Per noi
risulta cruciale scontrarci con questo modello, ma per fare questo dobbiamo
recuperare il nostro lavoro intellettuale. Le organizzazioni di classe, e in
particolare i sindacati, hanno l’opportunità e il luogo per portare il nostro
messaggio. Ogni posto di lavoro rappresenta in potenza un luogo in cui si può
essere ascoltati e in cui dobbiamo comunicare che la lotta di classe ancora
esiste. In Galizia, l’anno scorso, in piena crisi, la nostra organizzazione ha
organizzato 11 scioperi per contratti in settori provinciali del lavoro, con
l’obiettivo però di politicizzare il nostro messaggio, spiegando la
distribuzione della ricchezza e l’ingiustizia rappresentata da queso modello,
andando oltre ciò che era puramente rivendicativo. </span>Abbiamo spazi vitali
per la conoscenza, l’empatia, la compassione e la creazione dell’individuo. <span lang="PT-BR">Luoghi che non possono essere
separati dalla dinamica sociale che li caratterizza. I luoghi di lavoro, le
scuole, le università e gli spazi di attività sociale rappresentano
potenzialmente spazi dove costruire una risposta impegnata che si sostituisca
alla barbarie. Lavoriamo uniti e orizzontalmente con le altre organizzazioni
sociali che sono critiche con il sistema! Allo stesso tempo, con i partiti
della classe lavoratrice, influendo nella linea di massa, facendo in modo che
le nostre richieste siano ascoltate e difese. </span>Se politicizzeremo con
pazienza la classe lavoratrice, la sua risposta sarà quella che distruggerà
questo modello e questo sistema.</p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Antolín Alcántara, Segretario Confederale della Negoziazione
Collettiva della CIG (Confederación Intersindical Galega) <span> </span><span> </span></p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Fonte: <a href="http://www.rebelion.org" target="_blank">www.rebelion.org</a></span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Traduzione
a cura di Zeistar, Andalucía.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="PT-BR">Per
contatti: <a href="mailto:zeistar17@gmail.com" target="_blank">zeistar17@gmail.com</a><span> </span><span> </span><span> </span></span></p>
<br><div style="padding: 0px; margin-left: 0px; margin-top: 0px; overflow: hidden; word-wrap: break-word; color: black; font-size: 10px; text-align: left; line-height: 130%;">
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