[Cslist] TRADUZIONE TESTO CIG SU RUOLO SINDACATI
zeistar
zeistar17 at gmail.com
Thu Feb 3 10:43:56 UTC 2011
*Care/i compagne/i,
Proprio ieri dopo la firma del preaccordo sulle pensioni, i sindacati
concertativi CCOO e UGT firmano un nuovo Patto Globale con Patronal e
Governo. I sindacati di classe presenti in Catalunya, Euskadi e Galicia
avevano lanciato per il 27 Gennaio (giorno prima della firma del preaccordo
sulle pensioni) un nuovo sciopero generale che ha visto nuovamente una
fortissima adesione dei lavoratori e numerose manifestazioni nelle diverse
città dello Stato (Madrid, Mérida, Granada, Córdoba, stc). La Galicia, dove
la maggioranza sindacale è rappresentata dal sindacato di classe CIG
(Confederación Intersindical Galega), anche se con numeri non omogenei, ha
vissuto una giornata intensa di manifestazioni e picchetti portando in
piazza migliaia di lavoratori.
Qui, un link della manifestazione a Vigo: **Video:
http://www.youtube.com/watch?v=Rn0pVTp5KHY *
*
Vi invio la traduzione di un testo scritto dal Segretario Generale della
Negoziazione Collettiva della CIG, apporso in questi giorni su rebelion.org,
che ci permette di comprendere alcuni aspetti della realtà della Galicia e
da alcuni spunti interessanti di riflessione sull'evoluzione dei sindacati
concertativi e il loro ruolo di "agenti sociali" del sistema, e la
necessità, da parte dei sindacati di base e di classe, di rilanciare il
lavoro politico sul terreno intellettuale e di politicizzazione della classe
lavoratrice per superare la fase di debolezza generalizzata relativamente al
rapporto di forza tra le classi.
Saluti comunisti
Zeistar, Andalucía.
*
I SINDACATI DEVONO “PORTARE” LA LOTTA DI CLASSE NEI POSTI DI LAVORO
Se osserviamo con attenzione la recente storia politica dello Stato
spagnolo, a partire dalla stessa natura della Transizione, la cultura dei
suoi principali attori - caratterizzata dalla filosofia dell’”accordo e
della conciliazione”; se osserviamo il consenso che ha permesso, ai partiti
istituzionali di sinistra e ai grandi sindacati, di scommettere sulla
solvenza del sistema; allora potremmo capire perché, i colpevoli - le elite
ricche e potenti, i grandi imprenditori e finanzieri - della crisi economica
e sociale acuta che stiamo vivendo, lungi dal pentirsi, dimostrano al
contrario arroganza, con le loro richieste circa la cancellazione degli
attuali diritti. La loro esigenza di demolire i diritti della classe
lavoratrice, le loro risposte circa le prestazioni pubbliche e di protezione
sociale (pensioni, sanità, disoccupazione). Tutto ciò sicuramente obbedisce
a ciò che possiamo chiamare una accumulazione dell’esproprio nell’attuale
modello di liberalismo contemporaneo.
Tutto questo non sarebbe un elmento che ci dovrebbe far preoccupare
eccessivamente se la nostra risposta intellettuale e di mobilitazione fosse
sufficientemente organizzata, e si trovasse in una fase di relativo
equilibrio per quel che riguarda la relazione di forze tra le classi. Ma è
proprio questa la contraddizione. Fin dalla Transizione si è celebrato, come
un rituale e cerimonia del sistema, una disciplina di conciliazione di
classe che ha avuto come effetto l’attenuazione dello scontro tra Capitale e
lavoro. Si inaugurò con i “Pactos de la Moncloa”, seguita successivamente
dai vari AMI, con l’alternanza e l’accordo, una volta di “Comisiones
Obreras” (CCOO) e un’altra della “Union General de los Trabajadores” (UGT),
o di entrambe. Attualmente tutto ciò è stato codificato nei patti
confederali per la negoziazione collettiva. L’obiettivo e la conseguenza
degli stessi è stato quello di creare un accordo “superstrutturale” tra
organizzazioni imprenditoriali e sindacali, un patto verticale che ha
eliminato la partecipazione e il potere di decidere ai lavoratori. In tutti
questi anni, in maniera costante e in forma tacita e pacificata,si è
organizzata e messa in pratica una erosione dei redditi da lavoro,
trasferendo una cuota sempre maggiore di questi verso i redditi da Capitale.
Allo stesso tempo, questa “cultura dell’accordo” ha provocato una
trasformazione nella struttura e nell’organizzazione delle stesse centrali
sindacali, basata sull’incondizionato appoggio al nuovo modello .
Attualmente queste organizzazioni, come la maggioranza dei suoi quadri
sindacali, non sono preparate per organizzarsi e intervenire nel conflitto.
La loro vocazione per il dialogo sociale li ha trasformati in “interlocutori
sociali”, in agenti sociali del sistema. Questa nuova “versione” del
sindacalismo gli ha permesso uno spazio confortevole all’interno del
sistema, pieno di mezzi economici e accompagnato da un appoggio mediatico
nel quale i suoi portavoci si trovano particolarmente comodi e importanti.
Una figura che hanno accettato volontariamente, allo stesso tempo in cui
hanno rinunciato di accreditarsi socialmente come sindacati.
Mentre la socialdemocrazia liberale e la destra si alternavano al governo, i
partiti della sinistra istituzionale hanno abbandonato – nei suoi discorsi e
nel loro lavoro politico – il conflitto sociale in tutti i suoi aspetti e in
particolare quello della lotta di classe. Oggi non è di moda. Le nuove
generazioni appartenenti alla classe lavoratrice, quelle posteriori alla
Transizione, non sono capaci di interpretare i conflitti del sistema
attraverso questa base scientifica. Non trovano, in questo modo, né
risposte, né alternative a una logica distruttiva che condanna
progressivamente la maggiorparte della popolazione alla marginalità, alla
povertà e al super-sfruttamento.
Il mondo del lavoro in questi ultimi 30 anni ha sperimentato una erosione
brutale dei diritti lavorativi. Le diverse riforme del mercato del lavoro e
la riduzione delle prestazioni pubbliche ha generato un enorme squilibrio e
ha lasciato la classe lavoratrice sfavorita di fronte all’attuale relazione
di forza tra le classi. Allo stesso tempo, oltre l’elemento legislativo, si
crea una variazione a livello strutturale - dalla quale risulteranno
particolarmente colpite le nuove generazioni di lavoratori e lavoratrici -
che inizia alla fine degli anni ’70, che conosciamo come terziarizzazione
del lavoro e in alcuni casi come toyotismo. L’attività che fino a quel
momento si sviluppava all’interno di una sola impresa, con condizioni
lavorative e salariali uniformi, si riorganizza attraverso un nuovo modo di
subappalto. Per la prima volta nella storia del capitalismo, lo stesso
lavoro sarà retribuito con salari diversi e diversi diritti. Si produce una
stratificazione, sul modello delle caste, all’interno della classe
lavoratrice, stabili o eventuali, dipendenti dall’impresa madre o della
subappaltata e successivamente attraverso le ETT (Empresa de Trabajo
Temporal, NdT). Il Capitale riesce ad imporre le proprie condizioni in uno
scenario ideale di supersfruttamento, con l’obiettivo di trasferire senza
sosta la maggior cuota possibile di reddito da lavoro, a quello da Capitale.
Si produce un cambio storico: per la prima volta le nueve generazioni di
lavoratori hanno meno diritti e peggiori condizioni di quelle anteriori.
Tutto questo avviene nel periodo in cui si impone la “dottrina dell’accordo”
e del dialogo sociale in una simbiosi schizzofrenica. Abbiamo visto i suoi
risultati.
Questa riforma strutturale attraverso i subappalti non si è ancora
completata, le privatizzazioni dei nodi centrali del settore pubblico non è
ancora terminata, e continuerà avanzando nell’ambito dell’amministrazione –
tanto a livello dello Stato come nelle Comunità Autonome e nei Comuni.
Tutte le riforme del mercato del lavoro approvate in questo periodo seguono
lo stesso percorso e generano indiscutibilmente una maggiore precarietà. Il
fatto che l’aspetto centrale, in ogni caso, è stato quello della diminuzione
dei costi del licenziamento e nuove forme contrattuali, ci mostra un dato
empirico: lo Stato spagnolo è da sempre lo spazio di maggiore precarietà in
Europa, e abbiamo costatato come attraverso la “virtù” del diaologo sociale,
il reddito da lavoro sia cresciuto solo un terzo negli utlimi anni in
relazione alla media europea, mentre i profitti degli imprenditori siano
cresciuti il doppio della media europea (dato della OCDE per il periodo
1999-2009).
Per dissipare qualsiasi dubbio nell’esercizio matematico circa il risultato
di espropriazione del reddito da lavoro e di accumulazione di capitale en
questi anni, possiamo osservare il caso della Galizia attraverso i dati
dell’Agenzia Tributaria e dell’IGE (Instituo Gallego de Estadística).
Attualmente,
un 1% della popolazione gallega si accaparra il 25% del PIL. Un altro dato
desolante è rappresentato dall’evoluzione della distribuzone del reddito
negli ultimi 30 anni. Nel 1980 il reddito da lavoro rappresentava il 63%,
mentre quello da Capitale oscillava sul 24%. Attualmente, per la prima
volta, il reddito da Capitale è maggiore di quello da lavoro, il che è ancor
più grave se osserviamo il fatto che la popolazione salariata è raddoppiata
nello stesso periodo. L’equazione è semplice: il doppio dei lavoratori, la
metà del reddito.
Semplifichiamo le cose: stiamo discutendo della distribuzione della
ricchezza, di diritti e giustizia sociale. Le riforme riguardano il mercato
del lavoro, i lavoratori attivi e non, e stiamo prendendo coscienza che ci
stiamo scontrando con un processo che non verrà modificato in nessun modo.
Sappiamo che il capitalismo porta con se la sua logica di accumulazione, che
il capitalismo finanziario è capace di muovere una quantità di denaro
quattro volte superiore a quello del capitalismo produttivo, che è
enormemente concentrato e i suoi dettami e potere arrivano a mettere in
contraddizione la sovranità degli stati. Maggiore accumulazione, e quindi
maggiore necessità di denaro per mantenere costante l’accumulazione.
Necessariamente il denaro, la ricchezza reale, non speculativa, esce dal
mondo del lavoro. Quindi non hai passi indietro. Le riforme continueranno.
Sappiamo che impoverire i lavoratori, rendere meno remunerativo il lavoro,
precarizzarlo, etc. né crea lavoro, né rende più competitiva l’economia, né
aiuta a superare la crisi del consumo. Questo oggi è evidente. In Europa,
gli Stati che vivono una grave crisi per recessione sono quelli che hanno i
peggiori salari, maggiore precarietà, sono quelli dove la spesa pubblica e i
servizi sociali sono minori, e nonostante questo si segue la stessa dottrina
politica. La recente riforma del mercato del lavoro, le misure approvate in
questi giorni per ridurre la pressione fiscale sulle aziende e che lasciano
senza nessuna protezione sociale quelli che invece ne hanno più bisogno (i
disoccupati), la privatizzazione di settori pubblici altamente redditizi per
il Capitale, dimostrano l’oscenità e l’indecenza che pensavamo fosse propria
solo della destra. Le riforme che sono state annunciate (pensioni,
disoccupazione e negoziazione collettiva) approfondiranno l’erosione di
diritti e il reddito della classe lavoratrice.
Per noi risulta cruciale scontrarci con questo modello, ma per fare questo
dobbiamo recuperare il nostro lavoro intellettuale. Le organizzazioni di
classe, e in particolare i sindacati, hanno l’opportunità e il luogo per
portare il nostro messaggio. Ogni posto di lavoro rappresenta in potenza un
luogo in cui si può essere ascoltati e in cui dobbiamo comunicare che la
lotta di classe ancora esiste. In Galizia, l’anno scorso, in piena crisi, la
nostra organizzazione ha organizzato 11 scioperi per contratti in settori
provinciali del lavoro, con l’obiettivo però di politicizzare il nostro
messaggio, spiegando la distribuzione della ricchezza e l’ingiustizia
rappresentata da queso modello, andando oltre ciò che era puramente
rivendicativo. Abbiamo spazi vitali per la conoscenza, l’empatia, la
compassione e la creazione dell’individuo. Luoghi che non possono essere
separati dalla dinamica sociale che li caratterizza. I luoghi di lavoro, le
scuole, le università e gli spazi di attività sociale rappresentano
potenzialmente spazi dove costruire una risposta impegnata che si
sostituisca alla barbarie. Lavoriamo uniti e orizzontalmente con le altre
organizzazioni sociali che sono critiche con il sistema! Allo stesso tempo,
con i partiti della classe lavoratrice, influendo nella linea di massa,
facendo in modo che le nostre richieste siano ascoltate e difese. Se
politicizzeremo con pazienza la classe lavoratrice, la sua risposta sarà
quella che distruggerà questo modello e questo sistema.
Antolín Alcántara, Segretario Confederale della Negoziazione Collettiva
della CIG (Confederación Intersindical Galega)
Fonte: www.rebelion.org
Traduzione a cura di Zeistar, Andalucía.
Per contatti: zeistar17 at gmail.com
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