[aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta

xDxD.vs.xDxD xdxd.vs.xdxd a gmail.com
Sab 25 Set 2010 01:32:45 CEST


ciao a tutti e a kilroy nello specifico, che la risposta mi interessa molto.

io sono sostanzialmente daccordo. tant'è vero che anche gli organizzatori
dell'evento sono architetti più che decenti, il cui scopo "di base" è
progettare e realizzare "cose" per le persone: usabili, comode, funzionanti
e, se possibile, belle. Sono dei ragazzi molto bravi nel loro lavoro, e
attivi e reattivi.

quindi, dicevamo, progettare cose che, semplicemente, fanno il loro lavoro:
pensilina, sedia, palazzo, appartamento, linea della metro...

con tutti i limiti e gli svarioni del caso, ovviamente, perchè poi ciò che
disegni su carta, o quello che realizzi come prototipo e magari lo porti
alla femmina biennale, poi, è differente quando lo metti in una città.

di corviale esistono dei disegni bellissimi e dei testi assai poetici, per
capirci. :)

tocco una questione al volo e poi torno al "problema". il fatto che uno
"progetti" una architettura (ma vale anche per altre cose "progettabili" )
in qualche modo è già un atto autoritario e l'espressione di un potere.
Anche se quel qualcuno è mosso dalle motivazioni più nobili e dall'umiltà
più estrema e dalla professionalità più integerrima, sta sempre progettando
qualcosa che poi influenzerà la vita di qualcun altro. E questo fino a prova
contraria è un potere, ed una autorità, perchè "infligge" qualcosa a
qualcuno. (anche se l'oggetto dell'infliggere dovesse essere "bello" e
"comodo"... chi lo sa se quel che è bello per "te" è bello anche per "me"?
come lo calcoli? e così via)

Oltretutto questi "cosi" sono anche assai costosi e questo fatto (ovvero il
gestire enormi somme di denaro ed il potere decisionale rispetto a come
distribuirle) è un altro potere ed un'altra autorità.

adesso: maschia/femmina, buona, cattiva e così_così, l'architettura è una
roba strana. Come dici tu chi fa l'architetto fa un sacco di cose: è un po'
ingegnere, un po' designer, un po' artista, un po' paesaggista, un po'
antropologo, un po' politico, un po' costruttore, un po' pittore, un po'
scultore, un po' musicista e così via.

E questo stare in mezzo a tante cose, e di interconnetterle, è un fatto
molto importante nel contemporaneo.

tanto importante da rimpiazzare a piè pari tante delle cose che fino a un
po' di tempo fa erano molto importanti e centrali in come percepiamo il
mondo che ci circonda.

un esempio per tutte: oggi non è "strano" che uno che va a vedere l'arte
stia in realtà andando a vedere *il museo*

e di questi esempi è pieno.

è un andamento.  l'architettura ha preso il posto di un sacco di cose.

ed è un andamento generale, che vale per tanti domini, non solo per quelli
di cemento. ma anche ad esempio per quello dell'informazione, o della
creatività. (da cui ecco che sorge, ad esempio, l'interesse delle aziende
per la creatività: Richard Florida alla gogna! )

sostituisci soggetti e complementi, lasciando invariata la parola
"architettura", e automaticamente tornerai al mio problemino originario.

le dinamiche del potere, l'uso dell'immaginario, e le cose che assomigliano
al "crowdsourcing", agli "incubatori" e in generale a quelle cose che
raccoglono molte persone, danno loro una qualche forma di presenza, magari
le fanno anche lavorare, magari le pagano anche (poco), ma poi, alla fine,
chi ottiene i maggiori benefici è "la scatola", e i benefici che "la
scatola" ne trae sono sostanzialmente: sedare tutti quelli che sono nella
scatola, dando parvenze ed immaginari di opportunità; accentrate potere
grazie alla scomparsa di tutto tranen la scatola, visto che ad apparire è la
scatola e non le formichine che ci sono dentro; ridurre in condizioni di
assoggettazione le formichine nella scatola, perchè i loro profitti
(piccoli) vengono solo dalla scatola, la scatola dà loro le possibilità di
lavorare, di comunicare, di produrre eccetera.

anzi: le formichine proprio tendono a non averne di profitti; tendono a
lavorare gratis e ad avere dei servizi; offerti, naturalmente, dalla
"scatola".

la scatola viene, oltretutto, percepita come "straordinaria", chiudendo un
loop per cui chi non è nella scatola è libero o di entrarci o di criticarne
le modalità. Ma la critica è presa per "rottura di coglioni negativa e
bruttina" da tutti quelli che dentro la scatola ci stanno o che la
possiedono o che l'hanno costruita, perchè tu, in generale, stai criticando
una cosa "straordinaria, che crea opportunità, innovazione e possibilità".

questo è un gioco al massacro.

E, lo ripeto, lo spunto me l'ha dato l'architettura l'altro pomeriggio, ma è
un argomento con cui mi scontro per inclinazione personale ogni giorno.

Ed è un problema di architettura. Di architettura del potere, in qualche
modo. O, più precisamente, di come il potere, l'autorità, usi varie forme di
architettura (di cemento, di informazione, di servizi, di credito, di
servizio, del sistema dell'educazione, delle culture...) creando dei
supereroi (o anche semplicemente dei professionisti) che tramite delle
utopie raccolgano persone e le mettano in una scatola fatta di un
immaginario progettato.

questo mi sembra realmente violento.

ciau!
xDxD

2010/9/24 kilroy <ndp at bastardi.net>

> Caro XDXD, ti risponde uno che dal primo giorno di facoltà di architettura
> si pone queste questioni (parlerò solo di architettura, non ho mai usato una
> app).
> In realtà non credo affatto che gli architetti siano tutti uguali e tutti
> mossi da questo gigantismo o dalla volontà di essere la prossima archistar.
> Quando ho cominciato io, a metà anni '90, si combatteva (battaglia non
> ancora vinta, i posti chiave nelle università sono gli stessi di 20 anni fa)
> contro il postmoderno strapaesano, contro le schifezze incommensurabili di
> Aldo Loris Rossi e compagni, contro un'idea nostalgica e conservatrice,
> totalmente fasulla di città, fatta di carinerie posticce, recupero del merlo
> guelfo e altre sonore porcate, false, ipocrite e del tutto distanti dalla
> realtà (basterebbe dire che più della metà degli edifici in questo paese è
> stato costruito dopo la guerra per capire quanto questa gente vivesse
> nell'isola che non c'è). Questa architettura è stata il massimo della
> fasullaggine, nata come risposta ad un modernismo mal digerito che ha
> prodotto troppa bruttezza e troppa alienazione, il post-modern italiano
> (parola che in architettura assume connotazioni diverse che in altri campi)
> fu come dire: il postmodern è localizzato e specifico delle nostre realtà,
> ricostruisce il nesso storico interrotto con le nostre radici, è su misura
> per i centri storici, è la via italiana all'architettura. Salvo poi
> esportare queste cacate in tutto il mondo.
> Almeno in America i seguaci di Venturi (un abisso intellettuale separa i
> nostri e i loro) sono arrivati a fare una "piazza d'italia" a New Orleans
> (Charles Moore), una sonora presa per i fondelli.
> Dopo questa sbronza di vani ascensore a forma di colonne corinzie (cfr
> Ricardo Bofill) è successo un fatto, due di quelli che erano considerati
> architetti postmodern, tanto di essere inclusi da Portoghesi nella "strada
> novissima" della Biennale,  Frank Gehry e Rem Koolhaas, sono finiti anche in
> un altra mostra al MOMA, quella che sanciva la nascita del decostruttivismo
> (per me non c'è contraddizione, postmodern e decostruttivismo sono due facce
> della stessa medaglia, ma non in Italia).
> Lasciando stare Koolhaas che è un personaggio complicato, di intelligenza e
> cattiveria vertiginose (uno di quei geni che guardano tutti gli altri umani
> come pidocchi, ma geni restano) a livello di pubblico il cambio di paradigma
> l'ha portato Gehry, con quell'immane bignè glassato di titanio che è il
> Guggenheim di Bilbao, sul quale nei '90 omnitel e audi ambientavano le
> pubblicità. Con quell'edificio lì si sono rotti gli argini. Gehry è stato un
> visionario, ha preso un manifesto dell'architettura futurista di Boccioni
> (ritrovato nel '56) e l'ha messo in pratica sfruttando software di
> modellazione solida che non eran mai stati usati in architettura (Catia).
> Boccioni sosteneva che un giorno avremmo vissuto dentro enormi sculture e
> Gehry, che non nega di adorare Boccioni ha eseguito, diventando una
> superstar e continuando imperterrito ad eseguire cosi che sono dei Gehry,
> così come un Pollock è un Pollock. La nascita di un fenomeno del genere è
> parallelo al sempre più frequente branding delle città, Gehry fa dei loghi
> tridimensionali.
> Dopo 15 anni l'unione di scultura informale a scala gigante e software
> molto potenti ha creato una situazione in cui dal pericolo costante di
> scadere nel kitsch (rossi portoghesi e friends) siamo passati al pericolo
> costante di sprofondare nel trash (Libeskind you sucks!)
>
> Ora immagina che periodicamente io mi trovi di fronte alla stazione di
> Perugia ad aspettare, di fronte a me ho un orripilante aggeggio fuori scala
> progettato da Rossi (non ho bisogno di andare a cercare conferma, Rossi è
> inconfondibile), la solita piazza che nessuno frequenta, l'orologetto
> rotondo che nessuno guarda, la finestra morta... Rossi non è mai arrivato a
> capire che le città ideali rinascimentali e quelle metafisiche sono quadri e
> che a viverci dentro si sta di merda.
> Di lato ho invece la stazione della (non so come si chiami, è una specie di
> metro sopraelevata a cabina unica) di Jean Nouvel, l'edificio è appropriato
> e piacevole, nessun gigantismo, nessun guardami esisto, oh! E che cazzo!
> Strano ma vero, esiste anche chi, se gli chiedi una pensilina dove aspettare
> il mezzo pubblico, la realizza, non ci piove dentro, non richiama nostalgie
> e nemmeno magnifiche sorti progressive, fa la stazioncina, bontà sua.
>
> Jean Nouvel va per i '70, non ha bisogno di dimostrare un cavolo a nessuno,
> non ha neanche bisogno di assomigliarsi pedissequamente, ne di urlare,
> continua a fare sperimentazione tecnologica e i suoi lavori sono se non
> altro appropriati, non sono un manifesto di alcunchè, sono grandi quanto
> serve, pensati per quelli che li devono usare, così se deve fare un algido
> grattacielo per il centro di Tokio lo fa senza remore, se deve fare una
> folie parigina per attirare i turisti la fa, se deve fare uno spazio
> temporaneo per prendere il the (la serpentine di quest'estate) la fa e gli
> riesce molto bene.
> Siamo arrivati a questo dunque, uno come Nouvel che è in giro dalla fine
> dei '60, fa delle belle architetture perchè non gli serve più di dimostrare
> nulla, non c'è più un paradigma da rompere, non c'è più una generazione da
> superare, l'architettura post-ideologica è migliore di quella ideologizzata
> e risulta paradossalmente dirompente, perchè ci si sta bene dentro.
>
> Gli architetti sono tutti delle gran puttane, fa un po' parte del lavoro di
> gente, che a volerla infamare, ha in fondo anche il ruolo di fornire un
> plusvalore estetico alla sede delle banche, di giustificare lo stesso
> principio del progresso, gli architetti non possono accogliere la distopia
> tra i propri argomenti, tra le loro soluzioni non c'è mai "distruggo per
> liberare", c'è solo "distruggo per ricostruire". Anche uno come Yona
> Friedman (il più adorabile nemico interno che abbiamo nella categoria) è in
> fondo un costruttore.
>
> Ora questo secondo me è un bel momento per la storia dell'architettura, i
> giornali di settore non fanno altro che parlare d'interventi come quelli di
> Alejandro Araveda, o Giancarlo Mazzanti, le architetture più interessanti
> sembrano tutte legate a storie di riscatto (soweto, medellin bogotà, libano,
> new dehli), le archistar sono sempre meno interessanti e così gli edifici a
> forma di fungo, e anche nel primo mondo stanno tornando al centro gli
> uomini, i sensi, il piacere, l'architettura sta diventando femmina, per
> fortuna! Tu invece sei andato a vedere una conferenza tenuta da un individuo
> evidentemente fallocratico.
>
> Andiamo alla biennale, che anche lei quest'anno è femmina.
>
> kilroy
>
>
>
>
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