[aha] architettura, innovazione e qualche sconfitta

Alex Giordano alex a ninjamarketing.it
Ven 24 Set 2010 15:42:02 CEST


è terribilmente così...


Il 24/09/10 13.43, "francesco monico" <francescomonico at gmail.com> ha
scritto:

> "La cosa più violenta la subiscono, come al solito, gli studenti, cui vengono
> inculcati questi immaginari, come simbolo del successo." Xd è nel giusto, il
> problema italiano è il Fascismo dell'immaginario.
> 
> fra
> 
> Il giorno 21 settembre 2010 23:45, xDxD.vs.xDxD <xdxd.vs.xdxd at gmail.com> ha
> scritto:
>> Ho un problema. 
>> Oggi siamo andati all'Acquario Romano, la sede dell'Ordine degli Architetti
>> di Roma, alla presentazione/lancio di CitiVision Mag, un freepress di
>> architettura molto bello, con un occhio particolarmente attento ai progetti
>> degli architetti più giovani e con il preciso e dichiarato intento di tentare
>> di alzare il livello della discussione sull'architettura contemporanea a
>> Roma, e di trasformarla in un dialogo più internazionale.
>> Se da un lato ammiro molto l'impostazione del progetto e l'atteggiamento con
>> cui gli organizzatori lo pianificano ed eseguono, dall'altro sono rimasto un
>> po' atterrito dalla lecture dell'invitato principale.
>> Non ho nulla contro di lui, ovviamente: esprime dei concetti interessanti,
>> seppur molto centrati sulla forma. E l'inizio della sua presentazione è stato
>> anche molto interessante, con le sue analisi sul linguaggio degli spazi
>> pubblici e privati.
>> E' solo che pian pianino, durante la conferenza, veniva insinuato nella
>> discussione un assunto che, per quel che penso e sento, non è per nulla
>> scontato. Piano piano, tra le descrizioni di un progetto e l'altro, emergeva
>> una tensione verso il futuro, verso l'innovazione, verso "l'opportunità" che
>> era incentrata su immaginari utopici e, a tratti, degni dei più sfarzosi
>> faraoni dell'antico Egitto.
>> Venivano presentati progetti grandiosi, con cantieri sterminati che duravano
>> 5-6 anni, con centinaia di camion che trasportavano "robe" gigantesche. Era
>> inevitabile scivolare verso visioni di schiavi che tirano enormi blocchi di
>> pietra per costruire piramidi.
>> Questi grandi progetti, a New York, in Germania, a Valencia e in tanti altri
>> posti, venivano presentati candidamente come le dimensioni più avanzate della
>> ricerca contemporanea, come le utopie che, creando meraviglia, liberando
>> l'immaginazione e "usando anche la dimensione di gioco dell'Architettura",
>> potevano modellare gli immaginari, creare visioni sul futuro e, quindi,
>> opportunità.
>> Ma davanti agli occhi c'era una persona che presentava fiero delle immagini
>> di cantieri enormi, con centinaia di migliaia di pezzi di impalcatura tirati
>> su per costruire curve azzardate fatte di dozzine di strati di materiali
>> differenti, che contrattava tra istituzioni e corporation globali del
>> cemento, dell'acciaio, del legno per costruire cose enormi in grado di "far
>> fare una passeggiata suggestiva in cima alla città, di mangiare in un buon
>> ristorante con una vista incredibile, di creare delle zone coperte e di ombra
>> - presupposto fondamentale per la fruizione dello spazio pubblico -, creando
>> tre livelli di utilizzo e interpretazione del territorio".  (cito a memoria e
>> in ordine sparso: mi scuserà l'architetto se sbaglio qalcosa, e si senta pure
>> libero di correggere, ovviamente)
>> E, oltre ogni "ministero dell'amore" di orwell, venivano anche decantate le
>> caratteristiche di ecologia e sostenibilità delle produzioni architettoniche.
>> Ora: lo so. Le utopie *possono* essere utilizzate per creare immaginari, per
>> stimolare la fantasia, per abilitare la "fuga" che spesso permette di avere
>> nuove idee. La meraviglia, la suggestione, l'"eccezionale" serve. Perchè se
>> abito in un cubo di pietra e ne esco solo per andare a lavorare in un altro
>> cubo di pietra, muoio. E quindi le cose eccezionali hanno un loro uso:
>> possono essere utilizzare per riinventare la realtà, creando visioni e spazi
>> di espansione.
>> Ma proprio non riesco ad identificare queste cose faraoniche con una via
>> praticabile. Mi sembrano più oggetti del potere. Le suggestioni che mi fanno
>> venire in mente sono quelle che rigurdano come l'architetto, in quel momento,
>> si debba sentire una specie di semi-dio, con tutti quei camion, quei
>> materiali, quelle enormi travi d'acciaio che si innalzano al cielo, proprio
>> come le ha disegnate, o come le ha fatte disegnare ai suoi collaboratori,
>> comunicando loro la sua visione. Mi viene in mente quanto costino questi
>> oggetti. Quanto siano ogegtto di potere queste enormi cifre. Quanto siano
>> oggetto di contrattazione tra professionisti, istituzioni, costruttori,
>> politici, sindacati. E quanto siano belli nel disegno, ma di come sia poi ben
>> più misera la realtà, fatta di lavoratori in tuta arancione e casco giallo,
>> di stagisti che lavorano gratis, di poveracci con carta di credito che
>> provano a rimorchiare portando veline a mangiare aragosta in cima ad un blob
>> enorme a forma di fungo, e di come siamo cambiati poco nelle nostre
>> aspirazioni.
>> Ecco: superuomini, in grado di avere potere, che si esprime con questi enormi
>> "cosi".
>> Non che non siano belli o interessanti, ripeto. Sono interessanti come usano
>> il software, come usano i nuovi materiali, come riescano a rendere reali cose
>> che prima non c'erano e possibili cose che si immaginano dopo aver visto il
>> "coso".
>> Non mi sembra un "dibattito contemporaneo", questo. Non mi sembra, perchè ci
>> sono cose più fondamentali nel contemporaneo, cose che hanno più la
>> caratteristica di essere "nodi". E riguardano probabilmente maggiormente
>> l'ambiente, il lavoro, il debito, e l'identificazione di modelli che creino
>> un po' di sostenibilità e che, con tutta probabilità, non sono grandi come
>> quei "cosi", ma sono più piccoli, autonomi, mobili, "attorno" alla persona,
>> empatici e temporanei. Mentre invece queste utopie sono proprio il contrario.
>> La cosa che mi colpisce di più, oltretutto, è collegata al linguaggio. Che,
>> come al solito, è "al contrario". Ma a questo siamo abituati, no?
>> "Innovazione" vuol dire mantenere lo stato delle cose, "futuro" vuol dire
>> passato, "sostenibilità ed ecologia" vuol dire fare un cantiere gigantesco
>> che dura 6 anni per produrre un mostro gigantesco con un pannellino solare
>> sopra, "dialogo" vuol dire avere amici nei posti giusti per poter contrattare
>> committenze ciclopiche, "cambiamento" vuol dire solo velocizzare l'impresa
>> diminuendo la burocrazia.
>> La cosa più violenta la subiscono, come al solito, gli studenti, cui vengono
>> inculcati questi immaginari, come simbolo del successo.
>> 
>> Salto in avanti: dall'altra parte, all'Opificio Telecom, c'era un incontro
>> sul "futuro di internet". Si parlava di App, le applicazioni per i
>> dispositivi mobili che stanno trasformando così rapidamente il mercato di
>> come si usa internet ed i suoi servizi.
>> Le App sono molto belle, divertenti, accessibili e usabili. Hanno delle belle
>> interfacce. Sono divertenti, emozionanti, eccetera, eccetera, eccetera.
>> Ma hanno un enorme problema: eliminano la trasparenza dei protocolli di
>> internet, mettendo tutto in mano al service provider, sia dal punto di vista
>> di chi gestisce il marketplace delle applicazioni, sia da chi le applicazioni
>> le fa e commercializza.
>> Vuoi il servizio? Scaricati l'applicazione e fregatene di come funziona, di
>> come gestisco le informazioni, di come gestisco la sicurezza, di quanto ti
>> spio te e i tuoi amici. Non c'è standard. Se usi 10 app vuol dire che, in un
>> modo o nell'altro, hai firmato 10 contratti su come gestire i tuoi dati,
>> tutti differenti, tutti scritti in linguaggi che non capisci, tutti testi che
>> non leggerai mai. E poi: fine della libertà di navigazione e di uso delle
>> risorse di internet, fine degli standard e protocolli aperti: con le app
>> torna tutto in mano ai service provider. Altro che innovazione: torniamo ai
>> deliri di America Online.
>> 
>> Questo grande incontro è stato presentato nell'ambito dei programmi di
>> telecom italia sulle culture digitali. In dei luoghi quindi in cui si parla
>> di innovazione e di opportunità.
>> Se ci fate caso sia questo che quello prima son due problemi
>> "architettonici". Di tipo differente. Di due architetture che si
>> compenetrano, nella città, tra cemento e informazioni.
>> Proprio mentre Bernabè, da un lato, annuncia che la super-rete wireless
>> Telecom se la farà da sola, e deciderà da sola come/quando/cosa farà come
>> servizi, perchè "è sua responsabilità".
>> E mentre continua la buffonata (che però funziona: attenzione! anche se non
>> lo dovesse vincere, il progetto ha creato quel che doveva creare...) del
>> Nobel per la Pace ad Internet.
>> Proprio mentre continua il fiorire di iniziative di origine "corporate"
>> sull'imprenditorialità alla californiana, con tutti gli immaginari che ne
>> conseguono e senza le delicate alchimie che lì la stanno facendo funzionare
>> (per ora), con tutti gli incubatori di impresa che ne conseguono (qui).
>> 
>> Altra cosa in comune: tutte queste iniziative sono iper-frequentate. In
>> qualche modo stanno tutti "a caccia". Vogliono inventare la prossima
>> killer-app, il prossimo social network. Proprio come vogliono diventare i
>> prossimi archi-star.
>> 
>> Senza pensare, però, che quelli che raggiungono quei ruoli sono ben lontani
>> dall'utopia, ed agiscono non nel modo "ingenuo", puro ed accessibile che ci
>> mostrano con la "visione", ma con ben più rodate abilità contrattatorie, a
>> suon di bilanci, investimenti incrociati, accordi fatti al ristorante,
>> strette di mano, e compromessi.
>> 
>> Questo sfasamento del linguaggio concorre a creare la scomparsa della
>> rivolta, della reazione e, quindi, della reale innovazione e trasformazione.
>> 
>> In definitiva: cos'è l'innovazione, il cambiamento, la rivolta, la
>> trasformazione e la reinvenzione quando a definirne estetiche, modalità,
>> opportunità, ambizioni ed immaginari è un costruttore, una corporation o un
>> venture capitalist?
>> 
>> bacieabbracci
>> xDxD
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