[aha] Digimag 55 - Giugno 2010 - Approfondimento: l'eutanasia del sapere

Redazione Digicult redazione a digicult.it
Mar 1 Giu 2010 13:03:12 CEST


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Digimag 55 - Giugno 2010
http://www.digicult.it/digimag

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APPROFONDIMENTO: L'EUTANASIA DEL SAPERE:
http://www.digicult.it/digimag/allegato.asp
di Valentina Gualtieri e l'Istituto per lo Sviluppo della Formazione 
Professionale dei Lavoratori


Il significato della recente "manovra anticrisi" del Governo Italiano è 
evidente: si taglia la ricerca pubblica e la cultura che la classe dirigente 
politica Italiana non ha mai ritenuto fattore di sviluppo. Parallelamente, 
si porta avanti una distruttiva "riforma" dell'Università che la trasformerà 
in feudo di politicanti e baroni, negando nei fatti la libertà di 
insegnamento e il diritto allo studio.

Le indiscrezioni sulla "manovra", diffuse in questi giorni dagli organi di 
stampa, suscitano particolare preoccupazione per l'intervento che si profila 
su molti enti pubblici di ricerca tra i quali ISFOL, IAS, ISAE, ISPESL, dei 
quali sembra prevista la soppressione. Il decreto anticrisi imbavaglia la 
ricerca pubblica procurando cosi un gravissimo danno al Paese. Si prevede la 
cancellazione di alcuni enti di ricerca le cui attività hanno un ruolo 
fondamentale nello sviluppo della conoscenza, in ambito sia economico che 
sociale. A fronte di un discutibile risparmio di denaro derivante da una 
simile operazione, ci si priverebbe di quegli strumenti di conoscenza e 
supporto tecnico alle politiche, fondamentali per il sostegno delle persone, 
proprio in un periodo di grave crisi come quello attuale.

L'impatto della "manovra anticrisi" sul nostro futuro è quindi evidente: 
azzittisce una voce libera, autorevole e indipendente che, proprio nel 
momento più acuto della crisi economica internazionale, potrebbe aiutare a 
risollevare le sorti del Paese, raccontando cosa succede.

Ma la manovra finanziaria, come sappiamo, colpisce anche la cultura, ancora 
una volta del resto: sono 232 gli istituti, enti e fondazioni culturali che 
non riceveranno più i fondi statali e rischieranno concretamente la 
chiusura, poiché la maggior parte di questi dipendono, per la loro 
sopravvivenza, dalle sovvenzioni governative.

La miopia, di cui sembra ormai cronicamente affetto questo Governo, si 
ostina a non comprendere o, per meglio dire, non voler comprendere, che le 
strategie da adottare per risollevare il Paese e uscire dalla crisi non 
dovrebbero in nessun modo compromettere gli investimenti in formazione, 
ricerca e sviluppo. Operare indebolendo la conoscenza è un'operazione che 
scatenerà conseguenze devastanti sul nostro presente, ma ancora più sul 
nostro futuro. In una situazione di crisi è, infatti, essenziale scommettere 
proprio sul futuro, investendo, quindi, in istruzione, ricerca e nuove 
tecnologie. La manovra che il Governo sta varando compromette in maniera 
irreversibile questa possibilità.

In Italia, rispetto ad altre economie avanzate, i finanziamenti statali per 
ricerca e sviluppo attualmente risultano essere irrisori: nel nostro Paese 
al 2009 soltanto 1,18% del Pil è stato destinato alla ricerca, 
(http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_database) 
negli Stati Uniti tale quota sale 2,8% e in Germania è pari al 2,63%. 
Ridurre ancor più tale spesa significa di fatto eliminarla. Come noto, l'Italia, 
da almeno 10 anni, non sta di fatto più crescendo: significa che il nostro 
paese si sta "reggendo" a galla, non producendo più ricchezza. Ciò 
probabilmente dipende da un orientamento sbagliato degli investimenti. Il 
nostro Paese continua ostinatamente a puntare tutto su "carte" perdenti: gli 
investimenti finanziari.

Non produrre ricchezza vuol dire non ridistribuirla, generando l'impoverimento 
delle persone non solo da un punto di vista monetario ma anche culturale. Il 
fatto che in Italia ormai da tempo non si produca ricchezza non è imputabile 
a fattori casuali o crisi generalizzate. Si tratta invece di una scelta ben 
definita, di un riflesso delle caratteristiche del nostro sistema: il nostro 
tessuto imprenditoriale è composto principalmente da imprese che non 
investono in nuove tecnologie ma competono sulla riduzione del costo del 
lavoro piuttosto che sull'innovazione.

Questo modello di sviluppo è perdente, dato che le economie emergenti stanno 
investendo in sviluppo di tecnologie avanzate. Non è un caso se la Germania 
sia uno dei paesi più competitivi sul mercato: i tedeschi non hanno un costo 
del lavoro inferiore rispetto al nostro, ma hanno un apparato di ricerca, 
sia pubblica che privata, enormemente superiore al nostro e investono da 
anni nell'innovazione tecnologica, che è il motore della crescita e della 
ricchezza dei sistemi industriali avanzati.

Eliminare gli enti di ricerca pubblici vuol dire non permettere alle persone 
di conoscere, sapere e agire di conseguenza. Vuol dire non orientare le 
politiche sociali, vuol dire far procedere un paese alla cieca. Se la 
manovra anti crisi venisse approvata così come si configura ad oggi, da 
questa crisi verrà fuori un'Italia più ignorante, povera e con un sistema 
produttivo sottosviluppato: in bocca al lupo!





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