[aha] Eyal Sivan ritira il suo ultimo film dal festival di Parigi in segno di opposizione alla politica israeliana di apartheid
Isabella Bordoni
isabella.bordoni a tin.it
Lun 9 Nov 2009 16:52:48 CET
Eyal Sivan sarà a Rimini per LIBERTA' COME BENE SUPREMO dal 3 al 5
dicembre 2009 - http://www.ib-arts.org/libertacomebenesupremo.html
- http://www.ib-arts.org/eyal_sivan_workshop.html
Eyal Sivan ritira il suo ultimo film dal festival di Parigi in segno
di opposizione alla politica israeliana di apartheid
Post aggiunto da Zeitun il 28 Ottobre 2009 alle 0:00
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Mme. Laurence Briot & Mme. Chantal Gabriel
Direzione del programma Forum des images 2,
rue du Cinéma 75045 Paris Cedex 01 - Francia
Londra 6 Ottobre 2009
Care Laurence Briot e Chantal Gabriel
Vi scrivo in seguito alla richiesta che avete indirizzato ai miei
produttori, Trabelsi e Eskenazi, di programmare il mio ultimo film
"Jaffa, La meccanica dell’arancia" nella retrospettiva 'Tel-Aviv, il
Paradosso' da voi organizzata il mese prossimo al Forum des Images,
nel quadro della celebrazione del centenario della città di Tel-Aviv.
Innanzitutto voglio ringraziarvi per la vostra offerta di partecipare
a questo evento e vi chiedo di scusare il mio ritardo nel rispondere
alle vostre calorose sollecitazioni. Sono sinceramente onorato che
abbiate pensato di programmare il mio film "Jaffa, La meccanica
dell’arancia" per chiudere la vostra retrospettiva. Tuttavia, dopo
matura riflessione, ho deciso di declinare il vostro invito. Le
ragioni di questa decisione sono complesse e di natura politica, e
per questo vorrei, se siete d’accordo, spiegarvele dettagliatamente.
Come probabilmente sapete, l'insieme del mio lavoro cinematografico -
più di 15 film - ha principalmente per oggetto la società israeliana
e il conflitto israelo-palestinese. Opponendomi alla politica
israeliana nei confronti del popolo palestinese, mi sono sempre
sforzato di agire in modo indipendente affinchè non vi sia nessuna
ambiguità sul fatto che io non rappresento la "democrazia (ebraica)
israeliana". Per questo, dall’inizio della mia carriera
cinematografica, più di 20 anni fa, non ho mai beneficiato di alcun
aiuto o di alcun supporto di una qualsiasi istituzione ufficiale
israeliana. Ho sempre agito in modo di evitare che il mio lavoro
possa essere strumentalizzato e rivendicato come una prova
dell'atteggiamento liberale d'Israele; una libertà di espressione e
una tolleranza che l’autorità israeliana accorda solo, ovviamente, a
critiche ebraiche israeliane.
La politica razzista e fascista del governo israeliano e il silenzio
complice della maggior parte dei suoi ambienti culturali durante la
recente carneficina operata a Gaza come di fronte alla continua
occupazione, alle violazioni dei diritti umani e alle molteplici
discriminazioni nei confronti dei Palestinesi sotto occupazione o dei
cittadini palestinesi dello Stato israeliano – tutte queste ragioni
giustificano il mio mantenere le distanze rispetto ad ogni
avvenimento che potrebbe essere interpretato come una celebrazione
del successo culturale in Israele o una garanzia della normalità del
modo di vivere israeliano. Poiché la vostra retrospettiva fa parte
della campagna internazionale di celebrazione del centenario di Tel-
Aviv e gode, a questo titolo, del sostegno del governo israeliano,
non posso che declinare il vostro invito. D’altra parte, considerando
gli attacchi offensivi, umilianti e continui di cui il mio lavoro è
oggetto, in Francia come in Israele, e i rarissimi israeliani che si
sono espressi per difendermi e manifestare la loro sincera
solidarietà (non tengo conto delle dichiarazioni di principio in
favore del privilegio egemonico della "libertà d'espressione"), non
mi è possibile sentirmi solidale con un tale gruppo.
Non posso essere associato ad una retrospettiva che celebra artisti e
cineasti che godono dì una posizione di privilegio assoluto e di una
totale immunità, ma che hanno scelto di tacere quando crimini di
guerra venivano commessi in Libano o a Gaza e che continuano ad
evitare di esprimersi chiaramente sulla brutale repressione della
popolazione palestinese, sul blocco di 3 anni e la chiusura di oltre
un milione di persone nella Striscia di Gaza.
Ci tengo a smarcarmi da quei miei colleghi che utilizzano in modo
opportunista, perfino cinico, il conflitto e l'occupazione come
sfondo dei loro lavori cinematografici e come rappresentazione neo-
esotica del nostro paese – pratiche che possono spiegare il loro
successo in Occidente e in particolare in Francia – ed io rifiuto di
essere associato a loro nel contesto della vostra manifestazione.
Anche se il vostro invito aveva suscitato in me qualche esitazione,
questa è stata spazzata via dalla lettura, una quindicina di giorni
fa, di un articolo firmato da Ariel Schweitzer, l'organizzatore della
vostra retrospettiva, e pubblicato su Le Monde. In quest’articolo,
che si oppone al boicottaggio culturale dell’establishment
israeliano, egli dichiara: “Delle male lingue diranno che questa
politica culturale serve da alibi, mirando a dare del paese
l'immagine di una democrazia illuminata, una posizione che maschera
il suo vero atteggiamento repressivo verso i Palestinesi.
Ammettiamolo. Ma io preferisco francamente questa politica culturale
alla situazione esistente in molti paesi della regione dove non si
possono proprio fare film politici e certo non con l’aiuto dello
Stato”. Su questo punto, devo ringraziare il vostro organizzatore M.
Schweitzer per la sua ingenua sincerità e per le sue argomentazioni
settarie che mi hanno permesso di articolare le ragioni per cui
preferisco mantenere la distanza rispetto alla vostra retrospettiva e
ad altri eventi simili. Infatti, come conferma M. Schweitzer, si
tratta, in effetti, di celebrazioni della politica culturale
israeliana e di una difesa dell'ideologia del ‘male minore’.
Sia la mia storia e la mia tradizione ebraiche che le mie convinzioni
e la mia etica personali mi obbligano, nelle circostanze politiche
attuali – mentre le autorità delle democrazie occidentali e le loro
intellighenzie hanno fatto la scelta di stare al fianco della
politica criminale israeliana – a oppormi pubblicamente con questo
atto fermo e non-violento all'attuale regime di apartheid che esiste
oggi in Israele.
Termino riprendendo le parole del mio collega ed amico, il famoso
regista palestinese Michel Khleifi, che non cessa di ricordarci che
la sfida che dobbiamo affrontare, in quanto artisti e intellettuali,
è quella di proseguire i nostri lavori non GRAZIE alla democrazia
israeliana, ma MALGRADO essa.
Per questo, sempre in modo non-violento, continuerò a oppormi, e a
incitare i miei colleghi a fare lo stesso, contro il regime
israeliano di apartheid e contro il "trattamento speciale" riservato
nelle democrazie occidentali alla cultura israeliana ufficiale di
opposizione.
Augurandomi che accettiate e comprendiate la mia posizione e sperando
di avere l'opportunità di mostrare il mio lavoro in altre
circonstanze, con sincera gratitudine e rispetto,
Eyal Sivan
Filmmaker Research Professor in Media Production School of Humanities
and Social Sciences
University of East London (UEL) United-Kingdom
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