Re: [aha] Aha_camp_comunicare - Chi? Che cosa? Perché? Come? Quando?
lo|bo
lo_bo at ecn.org
Sun Sep 21 20:51:14 CEST 2008
domenico.olivero at tiscali.it ha scritto:
> titolo Aha_camp_comunicare - Chi? Che cosa? Perché? Come?
> Quando?
>
Questo è l'abstract che dovrebbe andare sul wiki? lo inserisci tu?
>
> Osservazioni…
>
> In questa serie di e-mail ho rapidamente riassunto, secondo una
> personale lettura, il testo del libro “Contro la comunicazione” di
> Mario Perniola (ed. Einaudi), con l’intento di creare uno stimolo per l’
> incontro che si terrà Domenica 5 Ottobre presso i S.aL.E.-Docks a
> Venezia dalle ore 11,00 alle 12,30 a cui seguirà la creazione di un’
> installazione.
>
> In generale trovo le argomentazione della prima parte del testo
> alquanto valide, in particolare quando viene messo in risalto come la
> “comunicazione” dei media informativi oggi, in particolare qui in
> Italia, risulta non funzionale ad una società realmente libera.
>
> Il sistema informativo pare creare disorientamento e una
> “rappresentazione” del mondo falsata dal vissuto delle persone. Questa
> “confusione” sembra voluta per confondere la società stessa, al fine di
> poterla controllare al meglio.
>
> Essendo questo un incontro “reale” di una comunità che dialoga nel
> web ritengo che sia importante mettere in risalto il potenziale di
> questo sistema informativo proprio da persone che vivono questa
> “dimensione” virtuale.
>
> L’autore propone l’estetica come una possibile alternativa, se
> alquanto interessante non la condivido appieno in quanto essa presenta
> troppi aspetti già compromessi con la comunicazione stessa.
>
> Mi ( e vi) domando quali possono essere le “risposte” concrete a
> questa dirompente “comunicazione” di una società così articolata e
> complessa come oggi?
>
> Quale può essere il ruolo “positivo” di ognuno di noi e di ogni
> singola persona?
>
> Come si possono attuare?
>
> e noi stiamo comunicando realmente ho agitiamo solo delle illusioni?
> …
>
> d.o)
>
>
>
> Tutti i post
>
> (15) che fanno si che in una comunicazione globalizzata che rende
> tutto appiattito e vuoto si possa riconoscere un tempo e delle
> identità.
>
> (14) l’estetica permette delle ritualità e delle stabilità di
> riferimento
>
> (13) l’estetica può avere una sua forma di arguzia che le permette di
> contrastare la comunicazione.
>
> (12) e dalla sua capacità di approfondire ogni aspetto che tocca.
>
> (11) un incremento estetico è rappresentato anche dalla sua
> consapevole transitorietà
>
> (10) raccolti dalla parola agamai (meraviglia, ammirazione, invidia)
> nell’estetica posso essere fattori che modificano il rapporto fra essa
> e la comunicazione.
>
> (9) può avere una valenza positiva se vista con ammirazione e
> modello.
>
> (8) L’identità personale e il suo consumarsi/sentire viene usata come
> “moneta” dalla comunicazione
>
> (7) Da queste capacità l’estetica può aprirsi a sfide nuove e
> aperte.
>
> (6) Proprio sull’aspetto della moderazione l’estetica trova una suo
> spazio dialettico.
>
> (5) nel processo estetico la discrezione ha un suo peso rilevante in
> quanto capace di cogliere e moderare le scelte.
>
> (4) solo in una processo “estetico” al presente, aperto al presente
> di tutte le forme del fare creativo, possono trovare forme i
> cambiamenti
>
> (03) indipendente all’utilità e alla morale, libera da logiche
> economiche, anche simboliche.
>
> (02) riflettendo sul ruolo storico nella sua caratterizzazione di
> autonoma e disinteressata, un enclave in cui le ‘’energie’’ siano spese
> senza necessità di sfruttamento. Essa non è solo contemplativa e
> spirituale ma anche azione e realtà.
>
> (01) l’estetica come alternativa alla comunicazione massmediatica.
>
> (15) espansione delle tematiche e dei modi che porta da nessuna
> parte
>
> (14) si crea uno spostamento di desiderio (mancanza) che risulta
> instabile e in continua mutazione
>
> (13) l’ ambivalenza della comunicazione genera una regressione
> sociale e culturale, riportandoci quasi ad uno stadio primitivo di
> pensiero e azione.
>
> (12) il rapporto dialettico non è parte della comunicazione, in
> quanto non ha interesse al confronto e alla dialettica, ma è
> unidirezionale, quasi metafisica. Al contrario dell’arte che è origine,
> differenza.
>
> (11) Essa non regge il confronto ma solo una continua “provocazione”
> che può degenerare in aggressività.
>
> (10) Si crea così una psicosi, un “ordine sociale” ingestibile.
>
> (9) Nel continuo affermare e negare il tempo si annulla il processo
> informativo e la percezione del reale, quasi a voler sostituire “il
> principio di realtà” con il “principio del piacere”.
>
> (8) L’impulso sessuale è assopito da un continuo flusso di
> desessualizzazione.
>
> (7) Con l’illusione di una progressiva spontaneità e “verità”, si
> altera il sistema cognitivo in un dispotismo comunicativo che però
> necessita di competenze ed individualità (tenute però a freno), creando
> un circuito di falsa realtà.
>
> (6) A tal motivo i “valori” vengono resi dialoganti e mutevoli in un
> continuo aggiornamento al fine di evitare cambiamenti reali e di
> riconfermare i poteri acquisiti da chi controllo legalmente (ma sempre
> più spesso illegalmente) il sistema.
>
> (5) Con la comunicazione si affossa nel caos la crescita e lo
> sviluppo più nuovo ed autentico, slegato dalle ideologie, esso viene
> confuso con tutte le finte-strutture mediatiche create per
> neutralizzarlo. Garantendo per i “poteri forti” la sopravvivenza e
> legittimazione.
>
> (4) La comunicazione crea un meccanismo di continua tensione
> impersonale che non trova sfogo nel concreto bisogno sociale ma che
> crea una dipendenza alla continua eccitazione (addiction). Costruendo
> una fittizia presenza prolungata che agisce a volte in modo violento
> per poter essere al centro del percorso informativo senza avere però
> degli elementi da comunicare.
>
> (3) La comunicazione porta in sé l'illusione di un messaggio
> (segreto) che non è null'altro che l'essere presente in ogni modo,
> senza legarsi ad una posizione che ne limiterebbe la visibilità e le
> scelte.
> Rimando alla "semiosi ermetica" di Umberto Eco, in cui tutto viene
> inglobato all'infinito.
> Molto piacevole l'esempio della "new age" in cui tutte le forme
> religiose e morali sono "superficialmente" unite in un'idea sfalsata di
> "pace" acritica.
>
> (2) Jean-Paul Fitoussi oppone la comunicazione all'informazione, essa
> è un mezzo privilegiato delle ideologie, insieme di dottrine ed idee
> pronte, oggi anche semplificate e priva di verificabilità in quanto
> troppo legate all'emozionalità del momento. Amplificando il raggio di
> argomentazione tutto viene discussione inscrivendo così anche le
> negazioni, annullandosi vicendevolmente.
>
> (1) le informazioni sono diramate da tutti, spesso anche in modo
> discontinuo, e con incessanti mutamenti di significato e senso. In tal
> modo si ha una comunicazione superficiale e falsa, in quanto mai
> stabile e di senso. Quasi sempre è unidirezionale non permette da parte
> della collettività suoi interventi ma viene imposta a tutti tramite i
> “mezzi di comunicazione” che sono chiusi e spesso distanti dalla realtà
> quotidiana.
>
> (0) tempo fa ho preso questo libro incuriosito dal titolo e dal fatto
> che la comunicazione da sempre attira la mia attenzione, sia essa di
> massa o più semplicemente quella più diretta fra due persone.
> Considerando poi che questa è una mailing list mi pare azzeccato il
> voler affrontare questo tema.
>
> Il libro sarà una traccia, ma non seguirò semplicemente il testo ma
> tenterò di dare degli spunti per dialogare sul comunicare, il suo
> ruolo, il suo peso, il suo senso.
>
> Il libricino si apre con una interessante frase di Martin Heidegger
>
> “Ogni genere di polemica è sin dall’inizio estraneo all’atteggiamento
> del pensiero. Il ruolo del polemista non è quello del pensiero. Giacché
> il pensiero pensa solo quando segue ciò che parla per una cosa. Ogni
> parola di attacco non ha qui altro senso che quello di proteggere la
> cosa.”
>
> Aggiungerei la definizione che ho trovato su wikipedia più alcune
> note (vedi sotto).
>
> Proprio in questo nostro tempo di iper-comunicazione pare sempre più
> difficile poter affrontare un tema linearmente e sviscerarlo, tanto più
> che forse tanti altri lo hanno già fatto.
>
>
>
> da wikipedia
>
> La comunicazione (dal lat. cum = con, e munire = legare, costruire e
> dal lat. communico = mettere in comune, far partecipe) non è soltanto
> un processo di trasmissione di informazioni (secondo il modello Shannon
> e Weaver). In italiano, comunicazione ha il significato semantico di
> "far conoscere", "render noto". In tedesco, il termine Mitteilung
> mantiene la radice latina mettere in comune, condividere. La
> comunicazione è un processo costituito da un soggetto che ha intenzione
> di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa (Grice, 1975).
>
> Poiché il termine viene impiegato in contesti assai diversi,dalla
> filosofia alla sociologia alla psicologia, alla biologia, alla teoria
> dell'informazione, si rivela difficile offrire una definizione che sia
> da un lato significativa, dall'altro valida in ogni contesto.
>
> La filosofia si è occupata del problema della comunicazione. Esempi
> di queste riflessioni si trovano in Socrate (Il dialogo: sommo bene) e
> Platone; il tema è poi trattato esplicitamente in Kierkegaard
> (Comunicazione d'esistenza)e in pensatori più recenti, come ad es.
> Wittgenstein, Searle o Derrida.
>
> Per approfondire, vedi sotto le voci Comunicazione filosofica e
> Comunicazione filosofica (Kierkegaard).
>
> Comunicazione significa sia il quotidiano parlare assieme delle
> persone, sia pubblicitá o pubbliche relazioni. Gli agenti della
> comunicazione possono essere persone umane, esseri viventi o qualsiasi
> altra "cosa". Infatti è colui che "riceve" la comunicazione ad
> assegnare a questa un significato (Friedemann Schulz von Thun, Ludovica
> Scarpa), per cui è la potenzialitá creativa dell'essere umano ad
> assegnare significati ad ogni cosa, creando il "sistema comunicazione"
> con le sue due caratteristiche: l' immaginazione e la creazione di
> simboli.
> È tuttavia argomento di discussione se la comunicazione presupponga
> l'esistenza di coscienza, o se si tratti di un processo che può
> avvenire anche tra macchine. Se infatti è colui che riceve la
> comunicazione ad assegnare un significato ogni "cosa" puó comunicare.
>
> Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un'interazione
> tra soggetti diversi: si tratta in altri termini di una attività che
> presuppone un certo grado di cooperazione. Ogni processo comunicativo
> avviene in entrambe le direzioni e, secondo alcuni, non si può parlare
> di comunicazione là dove il flusso di segni e di informazioni sia
> unidirezionale. Se un soggetto può parlare a molti senza la necessità
> di ascoltare, siamo in presenza di una semplice trasmissione di segni o
> informazioni.
>
> Nel processo comunicativo che vede coinvolti gli esseri umani ci
> troviamo cosí di fronte a due polarità: da un lato la comunicazione
> come atto di pura cooperazione, in cui due o più individui
> "costruiscono insieme" una realtà e una verità condivisa (la "struttura
> maieutica" proposta da Danilo Dolci); dall'altro la pura e semplice
> trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica, nelle
> varianti dell'imbonimento televisivo o dei rapporti di caserma. Nel
> mezzo, naturalmente, vi sono le mille diverse occasioni comunicative
> che tutti viviamo ogni giorno, in famiglia, a scuola, in ufficio, in
> città.
>
> Il concetto di feedback, o retroazione, centrale nella cibernetica,
> ha un ruolo fondamentale nei processi comunicativi. Possiamo
> individuare nella qualità della retroazione, e nel modo in cui il
> feedback viene usato nel processo comunicativo, un segnale per una
> "buona comunicazione". In tal caso si puó dire che il significato di
> una comunicazione sta nel suo risultato - ed è indipendente quindi
> dalle intenzioni dei partecipanti (come accade di dover sperimentare
> amaramente nella vita quotidiana). Vedi anche la voce: ascolto.
>
> http://it.wikipedia.org/wiki/Comunicazione
>
>
>
> La comunicazione filosofica in Kierkegaard
> « Fare il maestro è essere scolaro »
> (Søren Kierkegaard, "Opere" a cura di C. Fabbro, Firenze 1972)
>
> Frammento del manoscritto de "La malattia mortale".Ad occuparsi in
> modo particolare del problema della comunicazione filosofica fu
> Kierkegaard che riprendeva la questione lasciata aperta da Socrate
> colui che considerava il suo maestro di vita. Egli cioè si poneva il
> problema di conservare il carattere dialogico della dottrina socratica
> in opere scritte e nello stesso tempo operare attraverso questa
> comunicazione una modificazione d'esistenza.
>
> La natura contestatrice e per cosi dire rivoluzionaria di Kierkegaard
> si manifesta non solo nella sua lunga battaglia, dove impegnò anche le
> sue modeste risorse economiche, contro la Chiesa luterana danese
> accusata da lui di una borghese burocratizzazione e mondanizzazione che
> la portava a deformare e tradire l'originale messaggio cristiano, ma
> anche contro la filosofia accademica del suo tempo. In fondo anche
> l'uso del paradosso che fa il pensatore danese nell'esposizione del suo
> pensiero è un modo per andare contro l'opinione comune dei benpensanti,
> è un "guanto di sfida": il suo fine non è solo di far cogliere la
> razionalità nell'apparente assurdità di certe contraddizioni logiche ma
> anche quello di "epater les bourgeois", stupefare i borghesi come
> cantavano durante la Rivoluzione francese.
>
> La filosofia, pertanto, secondo Kierkegaard, non può limitarsi a un
> aspetto puramente astratto e definitorio, non deve rimanere in
> superficie ma deve incidere nel profondo non solo di chi l'ascolta ma
> anche di chi la esprime e, in un certo senso, l'impersona. Una
> filosofia che è anche pratica di vita, dunque, com'è stato per i suoi
> due grandi modelli di riferimento: Cristo e Socrate. Ambedue con la
> loro parola hanno trasformato la vita di chi li ascoltava e ambedue
> hanno impegnato la loro vita sino alla morte per mantenersi fedeli a
> quanto sostenevano. La loro era una comunicazione d'esistenza.
>
>
> Pensiero e comunicazione
> Nell'intento di operare una sintesi che mantenesse i vantaggi sia
> della comunicazione orale socratica sia di quella scritta platonica,
> Kierkegaard divise la sua produzione filosofica in tre modalità di
> comunicazione:
>
> la comunicazione diretta è utilizzata per quelle opere di contenuto
> religioso che vengono pubblicate a sua firma;
> la comunicazione indiretta: tutte le grandi opere che vengono
> pubblicate sotto pseudonimo;
> gli scritti non destinati alla pubblicazione come il Diario.
> Lo pseudonimo era stato un espediente della letteratura romantica
> sotto cui si nascondeva la vera identità dell’autore che, per vari
> motivi, voleva rimanere nascosto al pubblico dei lettori. In
> Kierkegaard lo pseudonimo,come per primo ha ravvisato lo studioso
> Gregor Malantschuck, assume tutt'altro valore e significato. Come dice
> lo stesso Kierkegaard lo scopo è quello di mettere in scena una sorta
> di "teatro delle maschere" di cui è il burattinaio lo stesso filosofo.
> Ogni opera ha indicato come autore un nome originale e significativo
> che vuole alludere allo stesso contenuto dell'opera, come ad esempio:
> l'autore della "Postilla conclusiva non scientifica" è indicato come
> "Climacus", mentre l'autore della "Malattia mortale" è "Anti-Climacus".
> Qui i due pseudonimi vogliono rimandare evidentemente a contenuti dove
> si dibattono tesi contrastanti. Lo scopo è quello di rendere le opere
> stesse veri e propri "personaggi" che dialogano tra loro, magari
> sostenendo argomenti contrapposti. Ogni nome è quindi una chiave
> d'interpretazione dell'opera, è una maschera di Kierkegaard che fa
> dialogare i suoi finti autori da un'opera all'altra. Questa è quindi
> una comunicazione indiretta , una comunicazione d'esistenza, dove la
> verità viene offerta al lettore che la dovrà scegliere tra le varie
> opere impegnando nella scelta se stesso e la sua esistenza.
>
> Ma lo scopo degli pseudonimi è anche quello di riprodurre la
> caratteristica "ironia" socratica. Come Socrate che "sapeva di non
> sapere" prima ancora che si iniziasse un dialogo con il suo
> interlocutore, ma fingeva di "non sapere", presentandosi come
> ignorante, per non mettere a disagio chi dialogava con lui, ma
> soprattutto perché voleva che anche egli arrivasse liberamente alla sua
> professione di ignoranza, così Kierkegaard vuole non far apparire i
> suoi convincimenti e non identificarsi con quelli delle "maschere". In
> questo modo ogni pseudonimo può rappresentare liberamente una
> "possibilità d'esistenza" . Tutte queste possibilità esistenziali sono
> vissute da Kierkegaard come presenti in lui, ma egli non aderisce
> pienamente a nessuna di esse.
>
>
> La polemica sulla comunicazione
> Lo spirito contestatore di Kierkegaard è ben evidente anche nella sua
> polemica diretta contro la comunicazione, oggi diremo, di massa.
> L'accusa è quella di essere totalmente falsa non tanto perché i
> contenuti di questa comunicazione diretta a più individui sia più o
> meno vera, quanto perché nel rapporto tra chi emette la comunicazione e
> chi la riceve c'è una situazione di "anonimato". Nella "modernità",
> sostiene Kierkegaard, anche chi firma regolarmente il suo articolo, sia
> esso un giornalista, un pensatore non è mai "in carattere": egli cioè
> "non reduplica" ciò che dice nell'esistenza, e "reduplicare vuol dire
> essere ciò che si dice". Kierkegaard accusa la comunicazione "moderna"
> di voler mantenere un atteggiamento di distacco, di orgogliosa
> obiettività, di mancato coinvolgimento esistenziale in ciò che si
> scrive. Compito del comunicatore deve essere al contrario quello di
> conformare la sua esistenza a quanto egli afferma e scrive. Bisogna
> quindi "reduplicare " la parola come hanno fatto Cristo e Socrate il
> cui "merito infinito è precisamente di essere stato un pensatore
> esistente, non uno speculante che dimentica ciò che è l'esistere".(S.
> Kierkegaard "Opere" a cura di C.Fabro, Firenze 1972.)
>
> Nella stessa condizione di anonimato si trova chi riceve la
> comunicazione. Con lo sviluppo della stampa ormai tutto ciò che si
> scrive viene diretto al "pubblico" ma "il pubblico è un astratto che
> non esiste".(Ibidem,op.cit.) Kierkegaard ha evidentemente colto la
> trasformazione propria della società del suo tempo: egli percepisce il
> fenomeno ancora indistinto della massificazione che si manifesterà
> pienamente nel corso della prima guerra mondiale. Ormai all'opinione
> pubblica formata da una borghesia più o meno colta, consapevole delle
> proprie idee, che spesso condiziona il potere politico si sta
> sostituendo una massa anonima ed indistinta che riceve passivamente la
> comunicazione, se ne fa strumentalizzare e diventa vittima passiva di
> chi ha il potere, di chi controlla la comunicazione agendo sulle
> passioni e i sentimenti. La massa si conforta nel suo numero, si sente
> sicura solo quando ciò che pensa lo pensano anche gli altri poiché "la
> maggior parte degli uomini non ha paura di avere un'opinione errata,
> bensì di averne una da sola".(Ibidem,op.cit.)
>
>
> L'appropriazione della verità
> La comunicazione indiretta è dunque secondo Kierkegaard l'unica che
> può arrivare alla persona e questo lo si può fare "portando degli Io in
> mezzo alla vita. Perché il nostro tempo manca completamente di uno che
> dice : Io. Tali Io [ gli pseudonimi ] sono ora bensì degli Io poetici,
> ma sono comunque sempre qualcosa". (Ibidem, op.cit.) La comunicazione
> vera è dunque quella non del privato al pubblico , ma del singolo al
> singolo, dell'esistente all'esistente. Gli uomini devono diventare
> "attenti alla verità". La verità è "l'autoattività dell'appropriazione"
> . Come Socrate con il suo dialogo "inconcludente", così Kierkegaard non
> scrive mai "l'ultimo paragrafo che conclude il sistema" (Ibidem, op.
> cit.). Filosofare per lui è fare domande, non dare risposte. Il singolo
> lettore dovrà porsi davanti il quadro delle varie possibilità
> d'esistenza rappresentate nelle opere e "come in uno specchio"
> riconoscersi o meno in una sola di queste. Avrà forse la sorpresa di
> cogliere un aspetto nuovo di se stesso; il suo spirito si risveglierà,
> "colpito alle spalle" da questa nuova verità su se stesso. "Tutta la
> mia feconda attività di scrittore – dice Kierkegaard – si riduce a
> quest'ultimo pensiero: colpire alle spalle" (Ibidem,op.cit.), stupire,
> sorprendere, scuotere chi viveva nell'ovattata illusione di una vita
> lontana dall'esistenza
>
> http://it.wikipedia.org/wiki/Comunicazione_d%27esistenza
>
>
>
> Comunicazione filosofica
> Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
> Vai a: Navigazione, cerca
> Voce principale: Comunicazione.
>
> Nota disambigua - Se stai cercando una concezione particolare della
> Comunicazione filosofica, vedi Comunicazione filosofica (Kierkegaard).
> La comunicazione filosofica, ovvero il modo di comunicare il pensiero
> filosofico, è un aspetto specifico della comunicazione, cioè
> dell'attività tipicamente umana attraverso cui sono resi disponibili,
> condivisi e generati contenuti[1] fra due o più persone.
>
> « Il mondo si trasforma sotto l'istanza della persona in un mondo di
> relazioni, in un mondo umano, che si distingue nettamente dal mondo
> dell'esperienza »
> (Martin Buber, Ich und Du)
> Indice [nascondi]
> 1 Il problema nei filosofi antichi
> 2 La soluzione di Platone
> 3 La comunicazione filosofica nei pensatori del '900
> 4 L'aspetto ontologico e gnoseologico
> 5 La considerazione etica, religiosa
> 6 Note
> 7 Bibliografia
>
>
>
> Il problema nei filosofi antichi
> Platone: oralità e scritttura
> Socrate: E allora, chi ritenesse di poter tramandare un'arte con la
> scrittura. e chi la ricevesse convinto che da quei segni scritti potrà
> trarne qualcosa di chiaro e saldo. dovrebbe esser colmo di grande
> ingenuità e dovrebbe ignorare veramente il vaticinio di Ammone, se
> ritiene che i discorsi messi per iscritto siano qualcosa di più di un
> mezzo per richiamare alla memoria di chi sa le cose su cui verte lo
> scritto […] E una volta che un discorso sia scritto, rotola da per
> tutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e così pure nelle mani
> di coloro a cui non importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a chi
> no. (Platone. "Fedro", trad. it. di C. Mazzarelli in "Tutti gli
> scritti" a cura di G. Reale, Milano 1991)
>
> Tra i primi pensatori della storia sono presenti autori che redassero
> le loro opere in forma di poema in versi; successivamente invece la
> filosofia venne scritta prevalentemente in prosa, sottolineando così la
> distinzione - teorizzata poi da Platone - fra poesia, come imitazione
> verosimile della realtà, e filosofia, che tende alla formalizzazione e
> alla espressione della verità ovvero dell'Idea. In questo modo però la
> filosofia rinunciava a quella forma artistica che ne rendeva la lettura
> più attraente.
>
> Nell'antichità greca infatti il modo preferito per esporre un
> qualsiasi tipo di sapere era l'uso spontaneo della comunicazione orale.
> Quando compare la trasmissione scritta questa assume la funzione di
> fissare sinteticamente e in modo da renderlo memorizzabile un nuovo
> contenuto di sapere. Fino al V secolo, quando appaiono i sofisti
> maestri della tecnè (tecnica) della retorica, l'espressione poetica era
> certamente superiore alla prosa più adatta ad esprime pensieri
> astratti. Anche in seguito però, come nell'età ellenistica e tardo
> imperiale non viene abbandonato del tutto l'uso del verso come
> testimonia lo stoico Cleante nell' Inno a Zeus (G.Giannantoni [a cura
> di], "I presocratici, Testimonianze e frammenti" , Roma-Bari 1993 ,p.
> 378).
>
> Un altro genere diffusamente usato nella comunicazione filosofica del
> periodo antico era l'epistola, generalmente rivolta a un conoscente o
> amico dello scrivente, e quindi di carattere, spesso, inizialmente
> privato. Del resto gli antichi erano poco propensi a pubblicare lettere
> riguardanti la loro sfera privata ed intima e quindi l'epistola assume
> mano a mano il valore di portare all'esterno dei lettori le proprie
> considerazioni filosofiche.
>
> Nella scuola d'Aristotele si utilizzò questo genere letterario per
> scritti filosofici e d'argomento scientifico. All'inizio l'epistola era
> una risposta ad un preciso destinatario che avesse avanzato dubbi e
> obiezioni alla dottrina ufficiale successivamente divenne una vera e
> propria forma di comunicazione al pubblico, sotto forma di destinatari
> fittizi, di problemi filosofici. Un esempio di quest'ultimo tipo di
> comunicazione filosofica è la "Lettera a Meneceo" di Epicuro
> (introduzione e commento di M.Isnardi Parente ,"Opere di Epicuro",
> Torino 1974, pp.187-99)
>
>
> La soluzione di Platone
> Platone nella "Lettera VII" sembra sostenere posizioni simili a
> quelle del suo maestro Socrate sui limiti della scrittura ma sembra
> addirittura anticipare certe interpretazioni del valore della
> comunicazione d'esistenza in Kierkegaard quando dice che nasconderà le
> sue intime convinzioni sulle "cose di cui si da pensiero" poiché è
> difficile capirle se non in un contatto dialogico esistenziale
> piuttosto che nello scritto. " Questo però posso dire sul conto di
> tutti quelli che hanno scritto o scriveranno di sapere le cose di cui
> mi do pensiero, sia per averle udite da me, sia per averle udite da
> altri, sia per averle scoperte da soli: non è possibile, a mio parere,
> che costoro abbiano capito alcunché di questo oggetto. Su queste cose
> non c'è un mio scritto né ci sarà mai […] Per questo motivo nessuno che
> abbia senno oserà affidare i propri pensieri a un tal mezzo
> d'espressione, ad un mezzo immobile, come sono appunto le parole
> fissate nei caratteri della scrittura" (Platone, Lettera VII, 341b-
> 343°, trad.it. di R.Radice in Tutti gli scritti, op.cit. pp.1820-1821)
>
> La soluzione di Platone fu quella di mantenere nel discorso
> filosofico l'espressione in prosa ma nello stesso tempo recuperare
> l'aspetto artistico introducendo la forma letteraria dialogica e
> soprattutto l'uso del mito.Platone cercherà di recuperare la sapienza
> poetica all'interno della filosofia, per Aristotele invece, rompendo
> ogni rapporto con la poesia, la filosofia sarà esclusivamente razionale
> e specialistica.
>
> Il problema prevalente da Socrate in poi fu non tanto quello di dare
> o no veste artistica al pensiero filosofico, ma se la comunicazione
> dovesse avvenire oralmente o per iscritto.
>
> Platone in effetti si trovava in disaccordo con il suo maestro
> Socrate il quale non aveva mai voluto esporre per iscritto il suo
> pensiero poiché per lui la parola scritta è come "un bronzo che
> percosso dà sempre lo stesso suono". Lo scritto cioè non rispondeva
> alle domande dell'interlocutore e questo annullava il valore del
> dialogo filosofico dove i due interlocutori cercano la verità insieme,
> con reciproche domande e risposte. Una verità che inoltre deve essere
> sempre rimessa in discussione e questo è possibile farlo solo con il
> dialogo, nella forma orale, poiché ciò che è scritto non muta.
>
> Quindi si contrappongono due esigenze: quella di Socrate che aspira
> ad un filosofare aperto e in continua evoluzione che porti alla
> convinzione dell'interlocutore, ma che rimane poco preciso nel
> linguaggio colloquiale e nei suoi termini non ben definito, e quella di
> Platone che adotta un sistema chiuso di fare filosofia che non ammette
> repliche immediate poiché ciò che si afferma è stato a lungo meditato e
> fissato nella certezza della parola scritta e soprattutto perché
> vengono comunicate verità immutabili che provengono dal "mondo delle
> idee". Un modo di filosofare quello platonico più accurato ma, in un
> certo senso statico. Non è un caso che nella produzione platonica la
> forma dialogica socratica dei suoi scritti, presente nelle opere
> giovanili viene, a mano a mano, nella maturità, abbandonata: la figura
> di Socrate perde sempre più rilievo e il dialogo si riduce ad essere un
> monologo,un dialogo, com'è stato detto, dell'anima con se stessa.
>
>
> La comunicazione filosofica nei pensatori del '900
> La comunicazione negli autori del '900 acquista particolare rilievo
> nella corrente esistenzialistica e spiritualista come una delle
> esigenze fondamentali dell'uomo, senza di essa l'io perde se stesso:
> così nel movimento personalista di Emmanuel Mounier la comunicazione
> diviene un fatto "naturale" per il soggetto: "L'esperienza primitiva
> della persona, è l'esperienza della seconda persona. Il tu ed il lui in
> noi precede l'io, o almeno l'accompagna…Così essa è per natura
> comunicabile , ed è la sola ad esserlo. Allorché la comunicazione si
> rilascia, l'io si corrompe o si perde" (E.Mounier, "Le personallisme",
> Parigi 1949, p.38). Sullo stesso filone d'idee si colloca Karl Jaspers
> per il quale senza la comunicazione non solo la verità ma la stessa
> consapevolezza di esistenza non sarebbe possibile: "Tutto ciò che non
> si realizza nella comunicazione non esiste (…) La verità comincia a
> due" (K.Jaspers, "Einfùhrung in die Philosophie", Zurigo 1950, p.117):
> "Nella comunicazione divengo manifesto a me stesso con l'altra persona"
> ("K.Jaspers, "Philosophie", II, Berlino 1932, pp.64-67; tr.it. nel vol.
> "La mia filosofia", Torino 1946, p.153). Per Berdjaev , il filosofo
> russo, studioso di Kierkegaard e interprete dell'esistenzialismo
> religioso,la comunicazione così come finora è stata intesa è ancora
> qualcosa di superficiale ed esteriore; egli preferisce parlare di
> "comunione" dove avviene la vera comunicazione, una relazione , una
> partecipazione spirituale dell' "io" col "tu" nel "noi : "C'è una
> differenza essenziale tra la comunicazione e la comunione. La
> comunicazione tra le coscienze implica sempre la disunione e la
> dissociazione". "La comunione si distingue precisamente dalla
> comunicazione per il suo realismo ontologico; la comunicazione essendo
> simbolica, usa solo dei segni convenzionali " (N.Berdjaev, "Cinq
> meditations sur l'exsistence" Parigi 1936, c.5, paragrafo 3: tr.it.
> "L'io e il mondo", Milano 1942, p.217 sgg.)
>
>
> Al di fuori dello spiritualismo il tema della comunicazione assume
> particolare importanza in Ludwig Feuerbach come criterio antropologico
> della verità: "Le idee scaturiscono soltanto dalla comunicazione. Di
> quello che io vedo da solo non posso fare a meno di dubitare: è certo
> solo quello che anche l'altro vede" (L.Feurbach, "Grundsàtze der
> Philosophie der Zukunft": tr.it Torino 1946, pp.126-127)
>
>
> Per Maurice Merleau-Ponty nell'ambito di una concezione
> esistenzialistica la comunicazione finora è stata intesa come
> l'inserimento dell'individuo in una comunità astratta non ben definita
> . Comunicare vuol dire invece impegnarsi - vedere a questo proposito la
> polemica sull' "engagement" (impegno) con Sartre - in un sistema di
> vita fatto da concrete relazioni storiche e sociali (cfr. "La
> phenomenologie de la perception", Parigi 1945; "Humanisme et terreur",
> Parigi 1947).
>
> In Sartre ed Heidegger la comunicazione, intesa come relazione con
> l'altro richiede il superamento di se stessi, la rinuncia alle proprie
> caratteristiche esistenziali, alla propria individualità al fine di
> generare il "conflitto" reciproco e l'annullamento delle proprie
> coscienze individuali.
>
> In un rifiuto della disinindividualizzazione è infine la concezione
> di Gabriel Marcel secondo il quale è insensato pensare di negare la
> propria individualità per togliere ogni differenza tra me e gli altri,
> essendoci una comune essenziale spiritualità: "Quando io tratto un
> altro come un "tu" e non già come un "lui", io penetro più
> profondamente in lui, colgo in maniera più diretta il suo essere e la
> sua essenza" (G.Marcel, "Diario", Modena 1943, p.83)
>
> L'aspetto ontologico e gnoseologico
> Da un punto di vista ontologico la comunicazione pone come
> ineliminabile condizione il riconoscimento dell'essere sia in me che
> negli altri come appropriazione dell'essere, riconoscimento della
> propria persona soggettivamente costituita e non scaduta a grezza
> oggettività materiale. Identificarsi quindi nella propria spiritualità,
> nell'essere se stessi. Per questo aspetto la comunicazione con sé non
> differisce da quella con l' "altro" ed è da questa seconda che si
> approfondisce la consapevolezza della propria individualità, è dal
> confronto comunicativo che la nasce la mia autoconoscenza: "la
> meraviglia del noi è che mediatizzando il mio rapporto a me stesso, mi
> permette di ritrovarmi nell'altro, meglio ancora che io non mi trovi in
> me stesso, e di scoprire il mio io più personale" (Jolivet, in
> "Giornale di Metafisica", Parigi 1950 p.65)
>
> Per la gnoseologia la comunicazione è riportata al senso antico del
> dialogo socratico: come conquista di una verità in comune: "la
> cooperazione degli spiriti nella ricerca intellettuale e la loro unione
> per mezzo della verità, valore della conoscenza, assicura fra di loro
> quella familiarità di pensiero che permette il rinnovamento infinito
> della comunicazione" (R. Le Senne, ibidem, p.68)
>
> La considerazione etica, religiosa
> Sotto l'aspetto etico il riconoscimento del reciproco valore umano fa
> sì che la comunicazione assuma i diversi significati di amicizia,
> amore, benevolenza, collaborazione cioè per il bene in vista del
> progresso spirituale l'uno dell'altro.
>
> Riconoscersi nel valore comune di umanità, come soggetti accomunati
> da questo stesso valore che non si esaurisce in noi ma che ci spinge
> l'uno verso l'altro come parte di un movimento infinito è il senso
> religioso della comunicazione così come l'intende Jolivet: "E' il
> valore che ci fa emergere dal mondo degli oggetti per costituirci in
> soggetti e persone, essi ci orientano verso l'Infinito…Io non comunico
> con l'altro che allorché lo ritrovo nel movimento che lo spinge al di
> sopra di lui e al quale devo partecipare io stesso: il valore dei
> valori" (Jolivet, ibidem p.42)
>
> Un'ultima riflessione sulla comunicazione, nel suo significato del
> "dialogo dell'anima con se stessa", fa infine intendere come
> comunicazione anche lo stesso silenzio: "Il silenzio, lungi
> dall'abolire la comunicazione, ne abolisce solo la testimonianza; ma
> quando essa è più perfetta e più profonda, la testimonianza diviene
> inutile" (L.Lavelle, "La parole et l'ecriture", Parigi 1942, p.141)
>
>
> Note [modifica]
> 1 Si indica qui con il termine "contenuti" l'equivalente nella
> linguistica di "espressione-contenuto" introdotto da L. Hjelmslev per
> il quale "espressione e contenuto sono i due piani dalla cui
> connessione risultano qualsiasi segno, testo e sistema di segni".
> (Hjelmslev L. "I fondamenti della teoria del linguaggio". A cura di
> Giulio C. Lepschy. Torino, 1975. p.56). Questi contenuti nella
> comunicazione specificamente filosofica sono di natura concettuale.
>
> http://it.wikipedia.org/wiki/Comunicazione_filosofica
>
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