[aha] Tecnologie e linguaggi [1]

gadda1944 gadda1944 at libero.it
Sat Aug 23 16:17:31 CEST 2008


Wow, che livelli di passione, che ampiezza di prospettive sappiamo attingere quando ci stacchiamo per un momento dalle schermaglie identitarie... (no, non scherzo, non voglio riportare il dibattito a stadi precedenti, sono contento di un clima del genere).

Parto da xD, ma poi arrivo a lo|bo. Dalla bulimia verbale del primo compongo un'asserzione che spero non gli sia estranea:

>non ha senso parlare di tecnologia come strumento di lotta e mutazione
quando sei completamente dipendente da centinaia di migliaia di
chilometri di cavi di fibra ottica [snip] 

>ovvero, ha senso, ma va integrato, spostato, riconfgurato.

Questo mi pare uno dei due punti importanti che stanno emergendo dalla discussione. Lo formulerei così: "Si possono attivare delle pratiche di liberazione all'interno di un mondo in cui la materialità delle tecnologie è *data*, e quindi indipendente da noi? Ci sono dei modi di 'integrare, spostare, riconfigurare' le pratiche linguistiche - e quindi espressive e comunicative - in modo da attivare un rapporto fra sensi e significati diverso da quello predisposto da chi detiene il controllo delle tecnologie e delle infrastrutture?".

Mi pare che la risposta a questo interrogativo dipenda dal fatto se consideriamo la dimensione linguistica di quelle tecnologie "chiusa" o "aperta". Ora, se guardiamo all'aspetto puramente sintattico, dovremmo dire che le tecnologie base di comunicazione e di espressione (i software), sono chiusi se sono proprietari, aperti in caso contrario. E quindi l'hacking (cioè la manipolazione del codice, possibile solo nel caso dell'open source), sarebbe la soluzione.

Ma neanche l'open source ci risolve il problema, perché manipolare un codice, cambiarlo, riscriverlo, "detournarlo", richiede competenze tecniche, che non tutti gli utenti hanno (anzi, ce l'ha solo una piccola minoranza). Quindi, come sembrerebbe suggerire ancora xD, l'hacking è morto quando le reti telematiche hanno raggiunto una dimensione di massa, almeno nel mondo occidentale. Per fare dell'hacking significativo occorrerebbe studiare i linguaggi informatici, ma non tutti possono farlo, etc. etc. Non solo, ma la materialità dell'hardware da cui dipendono le reti (chip, backbone transoceanici etc.) è al di fuori della portata del singolo o dei piccoli gruppi. Conclusione: L' "uso democratico delle tecnologie" è un'illusione.

So che questa non è la conclusione di xD, né di lo|bo, né di nessuno su questa lista (spero), però il problema rimane. Come aprire una prospettiva di uso diverso delle tecnologie senza mettere direttamente le mani sul software? 

Credo che una possibile via d'uscita dal dilemma stia proprio nell'approfondire il carattere linguistico della comunicazione, a tutti i livelli: linguaggio informatico e linguaggio naturale. Ora, la sintassi non è l'unica dimensione del linguaggio, né (contrariamente a quanto possiamo pensare) quella fondante. Le dimensioni *semantica* e *pragmatica*, come le chiamano i linguisti (cioè quelle che fondano il rapporto fra linguaggio e realtà, a livello descrittivo [semantica] e operativo [pragmatica]) sono altrettanto importanti, compresenti sin dall'inizio e inevitabilmente intrecciate a quella sintattica.

Se guardiamo alle storie dei linguaggi naturali, vediamo che da sempre, nelle lingue, si sono riflessi - in modo distorto e terribilmente complesso - i conflitti sociali che strutturavano la società, i rapporti di potere e così via. La storia del Web 2.0 ci dimostra che le scelte della nuova imprenditoria di rete, il successo di Google, di YouTube, di Myspace, di flickr, etc., sono state delle risposte imprenditoriali a delle pressioni sociali degli utenti della rete, un tentativo di offrire all'utenza degli strumenti più adatti alle sue esigenze. 

Tutto questo, ovviamente, è avvenuto all'interno di un quadro mprenditoriale, e quindi la pressione all'orizzontalità (che vuol dire, certo, anche insignificanza, cazzeggio, miliardi di miliardi di Mega invasi da foto e video di matrimoni, di gattini e di gente che fa le boccacce) ha generato sinora un modo furbissimo di "far lavorare" gli utenti per il profitto delle poche startup che hanno indovinato la formula giusta al momento giusto. Ma questo successo "imprenditoriale" è avvenuto a un livello linguistico - e sempre a un livello linguistico c'è stata la risposta. E, per concludere (per ora), questo dimostra che c'è una possibilità di influire sul quadro delle tecnologie senza intervenire direttamente sulle tecnologie, ma esprimendo una domanda sociale.

Mi fermo qui, per il momento, perché è già troppo lunga, ma è ovvio che a questo punto si aprono altre e più scottanti questioni...

gadda

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>From      : aha-bounces at ecn.org
To          : "List on artistic activism and net culture" aha at ecn.org
Cc          : 
Date      : Sat, 23 Aug 2008 13:08:02 +0200
Subject : Re: [aha] Nichilismo e Comunicazione







> > posso iniziare con una piccola "eresia"?
> 
> 
> Non è una eresia anzi mi pare che Lovink non dica nel suo libro cose 
> diverse dalle tue. Analizza l'utilizzo di massa di determinati strumenti 
> e non ne ricava che ci sia un pensiero critico ma tutt'altro. 
> Naturalmente non credo che Lovink sia il pensatore del secolo ma cmq 
> credo che alcune sue valutazione siano utili e da prendere in 
> cosiderazione, non mi pare sia il primo deficente che passa per strada, 
> certo c'è poi chi ha una consapevolezza maggiore :-P .
> Forse la cosa che ho apprezzato di più delle sue valutazioni è proprio 
> la critica all'hacking come pratica che ha agito sempre come se il resto 
> del mondo non esistesse, come detentrice di una conoscenza altra e un 
> potere di sovversione inspiegabilmente lontano dalla generalità delle 
> persone.
> 
> 
> > per esempio Lovink potrebbe essere integrato in maniera meravigliosa 
> > prendendo in considerazione il discorso delle microtecnologie del suo 
> > condivisore di faccia-e-capelli Foucault, nell'analisi del corpo docile 
> > che, nell'era dell'immateriale, diventa la cognizione docile (o qualcosa 
> > del genere).
> 
> Forse in contrapposizione al corpo docile si potrebbe parlare di corpo 
> selvaggio, quella parte di realtà che viene eliminato dall'ordine 
> sociale e che non riesce ad avere voce.
> 
>  >solipsismo vs schizofrenia?
> 
> ci sono diverse opzioni a riguardo, la Kristeva propone come momenti per 
> la creazione di nuovo senso e per dare voce a quello che non lo ha 
> momenti in cui l'essere corpo si fa evidente. Le sue ipotesi sono quelle 
> della maternita, ma anche delle psicopatologie come l'afasia. Concordo 
> che possa essere interessante una corrispondenza con l'elettroschok se 
> prorio non c'è altro modo ok ma se si può evitare anche no :-D :-D. 
> Comunque è una delle possibili declinazioni del discoso che appare 
> interessante. Io vorrei portare l'esperienza di gruppi come diotima e 
> delle modelità di sovversione dell'ordine sociale e della loro possibile 
> corrispondenza con l'ambito tecnologico. Si tratta si discorsi astratti 
> che effettivamente hanno difficoltà ad avere contatti con la pratica ma 
> ci sarebbe da chiedersi quanto la pratica sia vicolata dai limiti 
> linguistici e in che termini?
> 
> 
> 
> -- 
>      [IIIII]   lo|bo
>       )"""(
>      /     \   USER ERROR: replace user and press any key to continue.
>     /`-...-'\
>     |asprin |  REALITY.SYS corrupted- reboot Universe (Y/N)?
>   _ |`-...-'j    _
>   \)`-.___.(I) _(/)                  email: lo_bo [at] ecn [dot ] org
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