[aha] vi giro - LA FINE DELL'ANTROPOLOGIA
francesco monico
francescomonico at gmail.com
Wed Aug 13 11:56:51 CEST 2008
La lettera di Massimo Canevacci mi era stata inoltrata circa un mese fa e
l'avevo inoltrata all'attenzione del Consiglio Accademico della NABA, con
mia grande sorpresa al posto di riscuotere l'unanime consenso dei direttori
delle singole Scuole (Design, Moda, Graphic Design & Art Direction,
Scenografia, Arti Visive, Media Design e Arti Multimediali, Design della
Comunicazione) ha letteralmente spaccato il consiglio. Infatti il
sottoscritto (e la Direzione NABA) appoggiava apertamente la posizione di
Canevacci mentre altre didattiche ne criticavano il contenuto.
Che dire? In qualità di Direttore della Scuola di Media Design & Arti
Multimediali cerco quotidianamente di mantenere (e rinforzare) gli
insegnamenti critico teorici, per questo ho invitato a diventare parte del
corpo docente Naba importanti pensatori critici in grado di strutturare
percorsi teorici come Antonio Caronia, Pierluigi Capucci, Derrick De
Kerckhove, Marco Scotini e giovani come Marco Mancuso, Lorenza Pignatti
(...), e abbiamo invitato come speaker personaggi dei new media italiani
come Tommaso Tozzi, Paolo Pedercini, Tatiana Bazzichelli, Donatella della
Ratta, Giacomo Verde e internazionali come Roy Ascott, Jill Scott, Marcos
Novak, Jens Hauser, Natasha Vita More, Roger Malina... La cosa interessante
è il totale disinteresse verso questi personaggi da parte di affermati
professionisti italiani della 'creatività' (sic!). Infatti in questi
incontri non ho mai visto nessuna delle firme della creatività e del design
presenti a milano o in accademia.
Oggi esiste un 'discorso forte' che cerca di focalizzare tutta la
preparazione degli studenti su una ipotetica ricaduta lavorativa, la
didattica viene gisutificata dai numeri degli inscritti e i meriti del corpo
docente ridotti agli apprezzamenti degli stessi studenti. La situazione
rischia di diventare pesante, infatti qualsiasi persona coerente sa che non
è possibile insegnare un mestiere in tre anni o in due, e che sopratutto non
è importante saper fare ma bisogna sapere pensare per potersi adattare
criticamente ai vari scenari che si presenteranno nel mondo del lavoro
(sopratutto in un epoca di grande accelerazione tecnologica come questa).
Importante è gestire l'alienazione nel lavoro e nella vita attraerso una
base storico-critica che ci permetta di desumere dei modelli ai quali
appartenere.
Credo che per i giovani sia oggi fondamentale venire in possesso di
strumenti critico-metodologici che gli permettano di districarsi e di
aggiornare il loro pensiero in un'epoca di grande mutamemento come quella
bellissima che stiamo vivendo. Ma esiste una tendenza a ridurre la didattica
a workshop che sono molto comodi, infatti durano poco, costano poco, hanno
risultati concreti e visibili e riempiono le università accademie di
'visiting professor' magari conosciuti con cui fare comunicazione.
Quest'onda sembra avere le coordinate del design e delle arti visive? Si può
dire? Non so, certo che al convegno New Media Education & Research 2008 uno
degli interventi più interessanti (oltre a quello di Caronia, ndr) è stato
quello di Paolo Rigamonti sull'evanescenza del modello workshop.
se volete dare un occhio:
http://www.francescomonico.com/m-node/newmediaeducation/mnode_newmediaeducation.html
(scusate l'indirizzo ma è un mirror perché il sito orginale è giù per un
comportamento imbarazzante di tiscali)
Ecco noi ci siamo attrezzati con il convegno che, inspirato su un modello
realizzato nel 2007 da Tommaso Tozzi, vorrebbe dare un contributo alle
problematiche della pedagogia e della didattica dell'alta formazione
artistica.
Idealmente anche in risposta alla lettera di Canevacci.
Qualsiasi consiglio, pensiero, critica è il benvenuto
Francesco Monico
Il giorno 12 agosto 2008 12.28, synusia <synusia at libero.it> ha scritto:
> ve la giro come luogo di riflessione - e del resto quello che riguarda
> massimo canevacci non potrebbe che essere cosí. una mente fuori dal
> comune...ok - sono certa sara' di vostro interesse.
>
> a presto synusi@ cyborg
>
>
>
> Lettera aperta per la Facoltà di Scienze della Comunicazione
> dell'Università "La Sapienza" di Roma
> Massimo Canevacci
>
> Le nuove scelte didattiche della Facoltà di Scienze della Comunicazione
> dell'Università "La Sapienza" mi impongono di rendere pubbliche alcune
> perplessità, poiché, a fronte di un'indubbia crisi dell'ordinamento
> triennale, si è deciso di ristrutturare l'ordine degli studi secondo una
> visione della
> comunicazione restaurativa e schiacciata sull'esistente.
> In tal modo, la scienza della comunicazione rischia di ridursi a una
> preparazione professionale di taglio giornalistico; le connessioni
> sperimentali e trans-disciplinari con quanto emerge nella comunicazione
> digitale (estesa tra design, architettura, pubblicità, performance, musiche,
> moda, arte ecc.) spesso risultano incomprese, "non controllate" o
> neutralizzate in "tecniche"; e vengono ignorate, di conseguenza, quelle
> ricerche che stanno tentando
> modificare paradigmi espositivi, composizioni espressive, narrazioni
> multisequenziali.
> Tale tendenziale rinchiudersi della comunicazione dentro un giornalismo
> asfittico e un'apologia dei media impoverisce la Facoltà, trasforma i
> docenti in funzionari dell'"industria culturale", addestra gli studenti alla
> rinuncia
> all'innovazione e all'assenso disciplinato, chiude alle nuove
> professionalità che attraversano visioni, stili, linguaggi, è indifferente
> alle prospettive che
> nelle università estere da tempo vengono applicate in questo ambito (si
> veda il ruolo dell'antropologia culturale nei Media Studies in tante
> università estere - MIT, Humboldt Universität, Escola de Comunicação e
> Arte). Tutto questo
> rischia di configurare provincialismo disciplinare, endogamia mass-mediale,
> diffidenza dell'emergente, sottrazione delle potenzialità digitali.
>
> La materia che ho insegnato per più 20 anni – Antropologia Culturale,
> materia fondamentale per gli studenti di primo anno – è stata soppressa,
> mentre a Roma, in Italia e ovunque, sarebbe necessario moltiplicare le
> ricerche con
> questo orientamento, per contrastare le pericolosissime onde razziste, le
> chiusure localistiche, i decisionismi verticistici, le grettezze mediatiche.
> Si è preferito, invece, puntare su materie "classiche" (diritto e storia),
> eliminando la prima delle tre discipline fondamentali delle scienze sociali
> (antropologia, sociologia, psicologia). Il docente che la insegnava viene
> "esiliato" al terzo anno del corso di laurea di Cooperazione e Sviluppo, con
> una materia denominata Comunicazione Interculturale. Già nel titolo del
> corso si esprime la continuità di un dominio neo-coloniale dell'Occidente
> verso un mondo "altro": che la "cooperazione" sia focalizzata a dare aiuti
> economici ai
> laureandi e ai rispettivi Paesi di residenza, piuttosto che all'"altro",
> dovrebbe essere ormai evidente; e sulla critica al concetto di "sviluppo"
> sono stati scritti così tanti saggi prima e dopo il '68 che è noioso solo
> ricordarlo. Quindi si crea una materia come Comunicazione Interculturale,
> che
> fin dal nome rafforza chiusure identitarie e culturali, regressioni
> scientifiche e formative, che purtroppo appaiono in sintonia con quelle
> politiche da "lega romana" adeguate al clima imperante, in cui un
> cattolicesimo appiccicoso cerca di controllare governi e opposizioni,
> atenei, facoltà,
> docenti.
>
> I riferimenti cui la mia cattedra si è ispirata sono collocati, tra gli
> altri, nel filone antropologico inaugurato da Gregory Bateson: che, a
> partire dalle
> sue ricerche anticipatrici a Bali, hanno permesso di elaborare il doppio
> vincolo, concetto tra i più straordinari applicato sia alla comunicazione
> "normalmente" psico-patologica che ai mass media nascenti; fino alla sua
> collaborazione con Wiener per le primissime ricerche sulla cibernetica.
> Anziché dedicarsi a santi e madonne, processioni e proverbi – temi troppo
> spesso
> esclusivi nell'insegnamento di questa materia da noi – la ricerca
> antropologica di Bateson si inserisce nei flussi già all'epoca emergenti di
> comunicazione, tecnologia, alterità.
> Infine, questa lettera non rivendica nulla di personale (vado in pensione
> dal prossimo anno e lascio quindi questa Facoltà). Essa esprime un
> posizionamento politico-culturale che individua, nella crisi crescente e
> apparentemente
> irreversibile della Facoltà di Scienze della Comunicazione, un problema su
> cui indirizzare la riflessione critica nell'interesse di docenti, studenti,
> impiegati: di chiunque viva e respiri l'aria di un'università che cerchi di
> dare senso ai futuri possibili e non si limiti a replicare il peggio dei
> presenti mediatizzati.
>
>
>
>
>
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