[aha] Re: Fwd: Appello reti, saperi e innovazione per il 20 ottobre

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Fri Nov 30 18:23:05 CET 2007


Gentilmente chiedo di essere escluso dalla lista e di non ricevere 
ulteriromente informazioni.
Grazie
Stefano Macciò


----- Original Message ----- 
From: <estrix at witchescauldron.it>
To: <aha at ecn.org>
Sent: Thursday, September 20, 2007 7:43 PM
Subject: [aha] Re: Fwd: Appello reti, saperi e innovazione per il 20 ottobre


> Precarietà e instabilità dei nuovi lavori nel campo delle tecnologie: 
> moderne disuguaglianze ed evolute forme di schiavitù.
>
> L'avvento della cosiddetta new economy ha aperto nuove prospettive 
> soprattutto nell'innovazione dei rapporti di lavoro anticipando le 
> trasformazioni che presto avrebbero contrassegnato tutti i settori 
> economici. I processi di innovazione e i mutamenti del lavoro in Internet 
> hanno modificato nel tempo le loro caratteristiche, in relazione ai cicli 
> economici e finanziari.
> Durante il boom della net-economy - il settore definito dalle aziende che 
> elaborano servizi e prodotti legati alle tecnologie dell'informazione e 
> delle comunicazioni (ICT, Information communication technology) e dalle 
> imprese che di questi servizi e prodotti si avvalgono - le aziende 
> Internet, quelle cioè che hanno Internet come proprio core business, si 
> sono spinte verso processi di innovazione nell'organizzazione e nella 
> regolazione del lavoro. Successivamente, variando i cicli economici e 
> finanziari, in seguito alla crisi del settore, il pallone si è sgonfiato 
> velocemente e sono state adottate anche nelle aziende Internet modalità 
> tradizionali di regolazione del lavoro, rifiutate durante la fase del 
> boom. I nuovi lavori nel campo delle tecnologie si sono rivelati precari e 
> instabili, espressione di moderne disuguaglianze e di evolute forme di 
> schiavitù, caratterizzati sempre più spesso dalla mancanza di rispetto 
> delle norme contrattuali.
> Al periodo in cui siamo stati affascinati da seducenti illusioni come il 
> telelavoro, che finalmente avrebbe rimosso i vincoli fisici che ci legano 
> all'ufficio e ci avrebbe consentito di lavorare da casa con i nostri ritmi 
> naturali, è seguito il brusco ridimensionamento delle aspettative. Alla 
> fase ottimistica, caratterizzata da forme innovative di organizzazione 
> occupazionale, è seguita, in concomitanza con la crisi finanziaria, la 
> fase del ritorno alle consuete forme di lavoro.
> Insomma condannate all'innovazione, le aziende italiane della net-economy 
> ritornano alla tradizione. E di fatto, soprattutto nelle imprese di 
> piccole dimensioni che rappresentano il vero reticolo industriale 
> produttivo italiano, permangono le consolidate discriminazioni di genere: 
> la segregazione orizzontale (le donne si occupano dei contenuti, mentre 
> gli uomini di tecnologia) e quella verticale (presenza ridotta delle donne 
> nelle posizioni manageriali). Ciò determina, per ragioni di aritmetica 
> elementare, una riduzione della presenza complessiva e quindi del 
> contributo, in termini di slancio creativo e innovativo, delle donne nei 
> nuovi ambienti di lavoro e il conseguente allineamento verso il basso 
> delle retribuzioni. A questo va aggiunta la mancata introduzione di un 
> contratto collettivo ad hoc per il settore della net economy, necessario 
> anche per un riordino delle nuove figure professionali e delle relative 
> mansioni. A tale proposito, non è un caso che permanga una notevo
> le confusione nell'utilizzo di alcune espressioni, connesse 
> all'introduzione delle nuove professioni nel settore dell'informazione e 
> della comunicazione: un vocabolario condiviso di termini poco chiari a cui 
> si attribuiscono significati spesso discordi tra loro (web master, web 
> developer, web designer, ecc.)
>
> L'assenza di un contratto collettivo nazionale specifico per i lavoratori 
> di Internet, e più in generale dell'ICT, costringe le imprese di questo 
> settore a fare uso di contratti collettivi utilizzati per regolare il 
> lavoro in altri settori produttivi (prevalentemente contratto del 
> commercio e contratto metalmeccanico). E la scelta della forma 
> contrattuale solitamente non è motivata dalle caratteristiche produttive 
> dell'azienda, bensì dal percorso industriale da cui l'azienda proviene.
> Mentre da un settore innovativo e dinamico come quello delle nuove 
> tecnologie ci saremmo aspettati rapporti di lavoro più flessibili, in 
> realtà queste nuove forme sono state poco utilizzate e il loro significato 
> è stato distorto con la logica del ricatto che fa leva sulla necessità dei 
> lavoratori non garantiti dal "posto fisso".
> E così orario flessibile non significa lavorare in azienda e a casa come è 
> più comodo, scambiare i giorni di riposo come più aggrada, assolutamente 
> no! Piuttosto è lavorare mediamente 8 ore al giorno in azienda come 
> previsto da contratto e lavorarne altre 3 o 4 non retribuite! In queste 
> ore si possono anche spostare scaffali, pulire scrivanie, traslocare 
> uffici, dare un'occhiata all'impianto elettrico e in, qualche caso, 
> persino dipingere pareti! Però il sabato è libero per tutti!... potenza 
> della globalizzazione o reminiscenza di un Paese che è stato fascista? Un 
> altro esempio di flessibilità è il part-time nostrano con orario di lavoro 
> 8-18 o 9-19 . a buon intenditor!... "però ti mettiamo a posto per mezza 
> giornata".
> Nel contempo il lavoro a distanza, unica vera speranza di innovazione nel 
> settore, stenta ancora a decollare e viene quasi sempre rifiutato in base 
> alla convinzione - più utile ai datori di lavoro che veramente necessaria 
> per la crescita aziendale - che la condivisione degli stessi spazi 
> favorisca la costruzione di un'identità collettiva! Ciò nonostante, gli 
> stessi imprenditori favoriscono un turn-over elevato e grazie anche alla 
> legge Biagi, - e sottolineo "anche" perché di fatto chi l'ha mai vista 
> applicata? - l'identità collettiva cui aspirano diviene mutevole e 
> mutante, generando instabilità alle stesse aziende oltre che all'intero 
> mercato del lavoro.
> Ma se da una parte il telelavoro fallisce quale soluzione di rapporto 
> industriale, dall'altra il fenomeno delle numerose comunità on line delle 
> professioni, nate dall'esigenza dei nuovi lavoratori di accrescere 
> continuamente le proprie competenze e sviluppatesi autonomamente sulla 
> Rete proprio per alimentare lo scambio continuo di informazioni e 
> conoscenze professionali, dimostra che la condivisione attraverso Internet 
> è divenuta un vero e proprio strumento di lavoro e, nel caso specifico, un 
> modello di formazione permanente che si auto-alimenta.
> Da questo punto di vista, è chiaro che l'aspetto delle rivendicazioni 
> contrattuali e salariali assume una posizione subordinata rispetto 
> all'esigenza primaria di sostenere e aumentare il proprio livello di 
> professionalità come fondamentale garanzia e auto-tutela, onde evitare di 
> rimanere schiacciati nella frenetica rincorsa dello sviluppo tecnologico.
>
> Qualche tempo fa si è andato diffondendo un particolare tipo di azienda, 
> la no sleeping company, strutturata in modo tale da offrire ai dipendenti 
> ogni possibile confort, per consentire loro di "soggiornare" nelle 
> migliori condizioni. All'interno della no sleeping company si doveva 
> lavorare, mangiare, ed anche dormire, rilassarsi, giocare e mantenersi in 
> forma, in pratica un'organizzazione molto simile a un penitenziario 
> d'avanguardia, un carcere di classe sullo stile americano. Mi sono sempre 
> chiesta, però, quanto guadagnava un no sleeping worker perché nessuno ha 
> mai fatto parola sulle retribuzioni. E mi vengono in mente quei capannoni 
> che ho visto in alcune città italiane dove i cinesi impiantano industrie, 
> prevalentemente tessili, lì si lavora notte e giorno, con retribuzioni da 
> fame, e lì dormono, cucinano, si moltiplicano e allevano i figli. (ma chi 
> dovrebbe controllare?). Ovviamente le condizioni igienico-sanitarie e di 
> vivibilità non sono paragonabili a quelle di una
> no sleeping company, ma sotto certi aspetti quest'ultima rappresenta solo 
> la versione occidentalizzata ed evoluta! D'altro canto, bisogna 
> riconoscere che l'introduzione del modello della no sleeping company è 
> l'unico vero tentativo di prendere atto che la velocità di trasformazione 
> delle tecnologie richiede formazione e aggiornamenti continui e che questo 
> induce a lavorare e studiare spesso senza soluzione di continuità, 
> sperimentando di volta in volta le nuove prassi apprese su testi 
> specialistici e manuali d'uso. Ma finita l'epoca dei pionieri, i teorici 
> della Internet economy non hanno provveduto a definire lo stipendio di un 
> lavoratore che sceglie di vivere in azienda e per un'azienda tra l'altro 
> non sua! E allora non c'è da meravigliarsi che non esista ancora un 
> contratto collettivo nazionale specifico! E non deve meravigliare, quindi, 
> l'aspetto più rilevante e caratteristico della realtà italiana attuale: la 
> quota maggiore di occupati della net economy opera all'intern
> o di imprese individuali, nelle quali l'imprenditore è anche il creatore 
> del proprio posto di lavoro.
> La creazione di un'impresa nella maggioranza dei casi è lo strumento con 
> il quale molti lavoratori hanno reagito alla precarietà del posto di 
> lavoro, alla confusione e alla mancanza di tutela dei propri diritti. E 
> non è la domanda di tutela a mancare, ma una vera rappresentanza 
> sindacale, attualmente parziale e frammentata, soprattutto riguardo al 
> contratto nazionale applicato. L'Information Technology non è 
> caratterizzato da una presenza sindacale specifica, ma la nuova 
> forza-lavoro costituita dai net-workers, che sono stati tra i primi 
> lavoratori a sperimentare le insicurezze causate dalla flessibilità del 
> lavoro e dall'individualizzazione dei rapporti industriali (l'una e 
> l'altra elementi specifici del settore), ha in sé tutte le potenzialità 
> per diventare una categoria guida e per svolgere un ruolo paragonabile a 
> quello svolto in passato dai metalmeccanici. La mancata definizione di un 
> contratto nazionale collettivo per il comparto dell'ICT, la frammentazione 
> delle forme
> contrattuali e il prolungamento nel tempo di contratti atipici 
> (inizialmente concepiti come forme di ingresso nel mondo del lavoro) hanno 
> alimentato una crescente domanda di tutela e garanzia di tipo individuale, 
> alla quale il sindacato, per i limiti dettati dalle proprie origini 
> storiche, fondate, al contrario, sulla socializzazione e sulla 
> collettività, non è stato in grado di rispondere in maniera convincente.
>
> In barba alla tutela dei fondamentali diritti dei lavoratori, ai contratti 
> nazionali, alla flessibilità dell'orario, al telelavoro, alla legge Biagi 
> e quanto altro si sia potuto inventare e reinventare nell'ultimo decennio, 
> nel vano tentativo di ridurre il tasso di disoccupazione, la net economy 
> italiana alla prima crisi si è subito adattata, facendo proprie le più 
> vecchie e antiquate "relazioni" di lavoro, quelle che una volta aveva 
> considerato obsolete! La ventata d'aria fresca, inizialmente sostenuta 
> dall'elevato livello culturale dei nuovi imprenditori, in realtà si è 
> risolta in un ritorno bieco alle origini, cioè ai dettami di quei datori 
> di lavoro che una volta si chiamavano "padroni"... solo chiacchiere e 
> distintivo, chiacchiere e distintivo! (Robert De Niro, nel film "Gli 
> intoccabili").
> La confusione e la frammentazione del settore sul piano dei rapporti di 
> lavoro e l'insoddisfazione verso contratti non funzionali alle esigenze 
> delle nuove professioni hanno determinato una prassi di mancanza di 
> rispetto delle norme contrattuali, favorita dalla necessità e dalla scarsa 
> consapevolezza da parte dei lavoratori dei propri diritti e doveri.
> In definitiva, invece di spingere verso l'evoluzione dei tradizionali 
> rapporti di lavoro, gli imprenditori della net economy hanno abbracciato 
> vecchie pratiche consolidate e ormai intrinseche al sistema produttivo 
> italiano e, approfittando del disordine, hanno alimentato la cancrena che 
> sta divorando l'industria. Nel nostro Paese non esistono oggi veri 
> imprenditori (salvo qualche rondine che, si sa, non fa primavera!) 
> piuttosto datori di lavoro, che mossi da interesse privato, restringono il 
> campo d'azione all'esclusivo miglioramento della propria posizione 
> economica. Ma un imprenditore al passo coi tempi, in grado di portare un 
> contributo reale all'economia del Paese e non soltanto a se stesso, in 
> qualsiasi settore operi, mai come in questa epoca ha il dovere di pensare 
> in grande, essere progressista come l'età che tutti stiamo vivendo e 
> rivoluzionario almeno quanto le nuove tecnologie che propone!
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